Di seguito il mio intervento all’evento tenutosi ieri presso il Municipio di Lauria dal titolo “Ricordando Mons. Antonio Cantisani. La sua Umanità, La sua Spiritualità, Il suo Ministero” grazie anche alla testimonianza di S.E. Mons. Domenico Battaglia Arcivescovo di Napoli; agli interventi dei giornalisti Luciano Regolo, Domenico Gareri, Nicola Cerbino, Giornalista e alle conclusioni di S. E. Mons. Vincenzo Carmine Orofino Vescovo della Diocesi Tursi Lagonegro.
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link video dell’evento: https://youtu.be/VJHfq8w3P-o
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Per caratura morale e culturale, la figura di monsignor Antonio Cantisani, scomparso meno di un anno fa ma il cui ricordo è più che vivo che mai nella sua comunità di origine, va a iscriversi a pieno titolo nell’album dei nomi illustri che hanno fatto grande il nome e la storia di Lauria. Al fianco di personalità quali il cardinale Brancati, il beato Lentini, Nicola Carlomagno, Nicola Miraglia (solo per citarne alcuni), e al pari di un suo illustre compagno di ministero, monsignor Vincenzo Cozzi, il nome di Antonio Cantisani va a costituire l’ulteriore colonna portante su cui reggere non solo la memoria, ma anche l’orgoglio di tutti i laurioti. Stiamo parlando di un gigante dell’ecclesia meridionale, che ha legato il suo nome non solamente alle prestigiose diocesi calabresi che negli ultimi cinquant’anni hanno goduto della sua guida, ma anche a un’azione pastorale capace di cogliere le sfide che il tempo della contemporaneità ha posto innanzi agli uomini di buona volontà, a partire dalla necessaria consapevolezza del tema delle migrazioni e dell’accoglienza nella comunità cristiana.
Allo spessore dimostrato quale guida spirituale dei territori chiamati ad amministrare da Santa Romana Chiesa, ha sempre affiancato quello dello studioso raffinato e di solidissima formazione classica, del teologo di pregio, del profondo conoscitore della dottrina, tanto da aver prodotto importanti esegesi del pensiero e dell’opera di numerosi protagonisti della storia e del pensiero cristiano: si pensi al suo profondo interesse nei confronti di Aurelio Cassiodoro, di cui ha tradotto l’opera ascetica del Commento ai Salmi – l’unica completa di tutta l’epoca tardo-antica – rilanciandone il culto e la devozione, ma anche al commento delle prediche del beato Domenico Lentini, con un’opera che rimane ad oggi testo fondamentale di riferimento per interpretare la figura del nostro santo sociale. È su questo aspetto che voglio soffermarmi, non prima però di aver riflettuto sulla prima dimensione, quella di monsignor Cantisani faro di pace e cultura in aree complesse, per eredità storica e problematiche sociali.
Tra il 1971 e la sua scomparsa, Antonio Cantisani è stato a capo delle diocesi di Rossano e di Catanzaro-Squillace, nella Calabria ionica, un territorio bellissimo, dove ancora forti sono gli echi d’oriente, i richiami di Bisanzio, che caratterizzano lingua, abitudini cultura materiale e architetture sacre di quello spazio. Diocesi che accolgono popolazioni dal cuore grande, e dalle forti passioni, intense come il mare che le bagnano e che le unisce alle altre sponde mediterranee. Ma sono anche luoghi dell’abbandono, della povertà, di irrisolte questioni meridionali, di piaga criminale. Ecco, non sono territori semplici in cui assumere una leadership, anche di tipo spirituale. E monsignor Cantisani lo ha fatto, con una rettitudine inscalfibile, con una determinazione granitica, tanto da veder riconosciuta trasversalmente la sua autorevolezza purpurea, tanto da diventare un punto di riferimento ineludibile per tantissimi, che in lui hanno intravisto una speranza, una guida saggia, un sostegno, un maestro: un pastore, per restare nell’alveo della sua missione terrena. Se non fosse stato così, non avrebbe resistito tutto questo tempo: non si resta a capo di realtà tanto complesse se non si ha polso e fermezza per svolgere quel ruolo. Ed è proprio nell’humus di quella terra bella e problematica che, nel corso degli anni, monsignor Cantisani è divenuto una delle voci più importanti a livello nazionale per le politiche dell’accoglienza: è su quelle sponde ioniche che l’Italia, più di trent’anni fa, ha conosciuto il fenomeno nuovo dell’epoca post-bipolare, le migrazioni del mediterraneo, il mare dalle cui sponde meno fortunate hanno cominciato a partire uomini, donne e bambini in fuga da miseria e conflitti. Non è un caso che da quelle regioni ecclesiastiche della Calabria centro-meridionale siano poi emersi i nomi più celebri dell’ecumenismo sociale: oltre al nostro, si pensi a monsignor Bregantini, per anni attivo sul fronte anti-mafia, problematica che ha un’incidenza diretta e fortissimi interessi sulla gestione dei flussi migranti.
Ed è da lì che Antonio Cantisani ha cominciato il suo lavoro di studio e analisi delle politiche di migrazione, facendolo ai più alti livelli: dal 1985, e per dieci anni, è stato il primo presidente della commissione della Conferenza Episcopale Italiana per le migrazioni, nonché primo presidente della fondazione Migrantes, ossia l’organismo costituito sempre dalla CEI per accompagnare e sostenere le Chiese particolari nella conoscenza, nell’opera di evangelizzazione e nella cura pastorale dei migranti, italiani e stranieri, per promuovere nelle comunità cristiane atteggiamenti e opere di fraterna accoglienza nei loro riguardi, per stimolare nella società civile la comprensione e la valorizzazione della loro identità in un clima di pacifica convivenza, con l’attenzione alla tutela dei diritti della persona e della famiglia migrante e alla promozione della cittadinanza responsabile dei migranti. Un ruolo di altissimo profilo e altissima responsabilità, che ha permesso di far conoscere l’impegno del nostro illustre concittadino non solo entro i confini del suolo patrio, ma anche oltre.
Proprio la Fondazione Migrantes ha voluto ricordare monsignor Cantisani in occasione della sua scomparsa attraverso alcuni suoi interventi; mi ha colpito particolarmente un suo messaggio, in cui affermava che «quando si danno sacerdoti o altri operatori pastorali ad un’altra Chiesa per questo specifico settore dell’emigrazione, si aiuta la Chiesa particolare di accoglienza ad essere autenticamente Chiesa: una Chiesa la cui unità si arricchisce della diversità, una Chiesa in cui l’unico Dio può essere lodato in ogni lingua e in ogni cultura; una Chiesa che – già al suo sol esistere – è più chiaro segno e fermento di pace tra i popoli». Ecco, c’è qualcosa di più vicino di queste parole a quelle di Papa Francesco? Non è forse questo un messaggio – proferito molto prima che il mondo conoscesse Bergoglio – che è pienamente nel solco della chiesa delle origini il cui esempio è priorità dell’azione apostolica dell’attuale ministero papale? Non ci permettono queste bellissime parole di affermare con forza che il pensiero di monsignor Cantisani è stato quello di un antesignano, capace di cogliere prima di molti altri i tempi del cambiamento, nella società e nelle sue comunità pastorali?
Vengo ora al Cantisani studioso, che tra le numerose opere sviluppate nel corso della sua lunga e feconda vita ci ha fatto dono di un importantissimo saggio critico sulle prediche del beato Lentini. In Va…e prega non ritroviamo solo un’articolata e complessa analisi del pensiero teologico del “santo di paese” – come ebbero a definirlo alcuni suoi biografi – ma anche un’accurata ricostruzione storico/biografica, che rendono il volume un testo imprescindibile per poter cogliere appieno la grandezza del beato Domenico da Lauria. Una grandezza che sta innanzitutto nell’approfondimento del suo ruolo missionario, sviluppato con profonda attenzione e perizia documentale, in modo da permetterci di capire appieno perché il culto del santo di Lauria sia così diffuso in tutta l’area lucana meridionale, e non solo. Significativo è il passaggio in cui ci chiarisce che per il Lentini «non esisteva sostanziale differenza tra il quaresimale e missione al popolo […] il fine era lo stesso: portare le anime alla conversione, a cambiar vita, a decidersi di vivere in maniera coerente la propria vocazione cristiana». Una missione vissuta in forma penitenziale, che ebbe come decisivo ambito di formazione la predicazione francescana, e più specificatamente cappuccina, che a Lauria poteva contare su un importantissimo presidio, ancora oggi esistente.
Molto affascinante è anche il suo esercizio di esegeta della storia al di fuori del campo agiografico, come possiamo osservare in Una cronaca ritrovata. La memoria di monsignor Ludovici, scritto con Antonio Boccia per le edizioni del Centro Culturale Ulloa. Nell’analisi critica del testo, la cui autenticità sottopone a uno scrupoloso e sottilissimo esame filologico, risulta anche divertente il modo in cui monsignor Cantisani difende la reputazione dei laurioti dalle accuse che ne avrebbe fatto il vescovo di Policastro in quel testo creduto inizialmente apocrifo: e anche in questo caso non manca di tornare al Lentini. Si chiede infatti, stigmatizzando tanta durezza: «pur prescindendo dal fatto che i laurioti non erano più “festaioli” egli abitanti di altri paesi, come i spiegherebbe che accorrevano in massa alle prediche di don Domenico Lentini e facevano la fila per confessarsi da lui, decisi a cambiar vita?»
Non accetta, monsignor Cantisani, neppure che si potesse definire Lauria “sede dell’ingratitudine”, qualsiasi fosse il tempo a cui ci si riferisse. E qui viene fuori l’orgoglio ferito del cittadino illustre, che sente un moto proprio di indignazione anche a cospetto di una carta pergamena che racconta di vicende lontanissime. Come è possibile che si giunga a cotanto biasimo? La chiosa è illuminante, e geniale. In pieno stile Cantisani. E con essa voglio chiudere questo mio breve intervento, facendo mie le parole del monsignore, perché non ci sarebbe modo migliore:
«Intanto, ritengo che i laurioti, leggendo la memoria, sorrideranno. Si spiegheranno anche perché, almeno fino a qualche tempo fa, girava qualche detto non certo benevolo nei loro riguardi. E pensando alle risorse morali e spirituali che essi posseggono, e in particolar modo all’alta coscienza della loro libertà, certamente non riconosceranno come loro padri quei laurioti descritti dalla Memoria. Ma non si negheranno a un serio esame di coscienza per trovare la spinta a vivere una religiosità più pura e a testimoniare una fede che si esprima nella vita e che, aiutandoli a superare ogni forma d’individualismo, assicuri a Lauria un futuro di più intensa solidarietà, e proprio, per questo, di una civiltà ancora più alta».
Oggi non è che un primo momento di ricordo. Altri ne dovranno seguire, necessariamente, per onorare pienamente non solo la sua memoria, ma anche l’enorme lascito spirituale di cui ha fatto dono a chi lo ha amato, a chi ne ha seguito l’indirizzo e l’esempio. Grazie
GALLERIA FOTOGRAFICA DELL’EVENTO E LOCANDINA EVENTO