Senza retorica cosa è oggi per me il 25 aprile
Sarebbe sin troppo semplice concentrare il mio messaggio sul tenace e spudorato tentativo di rileggere la Storia nel senso che fa più comodo a chi, nel riconoscersi in quella Storia, ha sempre provato un certo disagio, disagio che è divenuto goffaggine con le recenti dichiarazioni della seconda carica della Repubblica sull’attentato di via Rasella e sull’assenza dell’antifascismo nella Costituzione. Fin troppo banale e scontato sarebbe ricordargli che la Costituzione è l’antifascismo, come affermato da più parti. Eppure, non possiamo esimerci dall’essere banali e scontati, una volta ancora. Allo stesso tempo, non possiamo non scorgere una cifra preoccupante che vuole, attraverso quelle che sono vere e proprie provocazioni al senso comune, mettere in discussione i principi fondanti della nostra Repubblica e del suo vivere civile.
Qual è dunque il grado di coscienza civile che attraversa la nostra società, oggi? C’è il rischio di un generale abbassamento della guardia rispetto alle conquiste degli ultimi ottanta anni, e dunque un progressivo scivolamento della comunità verso la dimenticanza e l’apatia?
Se vogliamo leggere e celebrare il 25 aprile in chiave antiretorica, credo che dobbiamo necessariamente muovere da una riflessione che ci porti a capire quali sono i meccanismi sociali inceppati nel presente, quali le loro cause e le possibili soluzioni.
Anche perché le crisi sempre più irreversibili che colpiscono l’economia mondiale creano le condizioni perfette per un restringimento degli spazi di democrazia. Perché progresso, benessere e libertà sono principi strettamente connessi, e intrinsecamente simultanei. Il capitalismo finanziario Ci trascina in un vortice che dissolve le strutture della società, decompone lo Stato, cannibalizza gli strumenti della rappresentanza politica e della democrazia, desertifica il senso della vita». In questo progressivo decadimento si fanno spazio le mistificazioni e i rigurgiti. Gioco facile trovano i sobillatori del caos, che parlano al ventre delle persone inibendo il più grande valore lasciato in eredità dalle civiltà occidentali, l’uso della ragione, il cui sonno, per antonomasia, genera mostri.
Un progetto che ponga le basi per una rivoluzione culturale, che non spacci le migrazioni che da secoli dinamizzano e arricchiscono lo spazio mediterraneo come menzogneri tentativi di “sostituzione etnica”, di rievocati complotti pluto-giudaici, un campionario di bestialità che giunge dritto dai momenti più bui della storia contemporanea dell’umanità.
Questo progetto a cui siamo chiamati in questo tempo di incertezze deve appellarsi al principio di solidarietà, di umanità, di fratellanza: elementi a priori che sono propedeutici alle nuove modulazioni dell’eguaglianza e della giustizia sociale. Penso che questo nuovo protagonismo delle donne e degli uomini in balia del vento burrascoso del nuovo millennio deve ricalcolare il rapporto con le risorse naturali e con la loro distribuzione, o verrà travolta dai profondi stravolgimenti che rovesciano la visione ormai desueta di un mondo che non c’è più.