“La storia della nostra terra” è la nuova rubrica su questo portale, una serie di articoli a cura dello storico e Avvocato Antonio V. Boccia che ci accompagna in un percorso di scoperta storica della Basilicata. Buona lettura!
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Uno dei più grandi meriti degli Svevi, gli odierni bavaresi, è quello di aver compilato degli elenchi curati dalla cancelleria imperiale ed afferenti il patrimonio immobiliare, in particolare dei castelli: tali elenchi oggi ci consentono di poter dare un volto al territorio basilicatese di otto secoli or sono. Infatti sappiamo che, all’epoca, la regione contava circa duecento siti abitati, molti dei quali erano fortificati. Si tratta in buona parte dell’eredità bizantina, a cui evidentemente dobbiamo massimamente la rinascita complessiva della vita civile e sociale, con l’aggiunta di alcuni centri più recenti (edificati dai normanni per diverse esigenze -come ad esempio Chiaromonte- sorti durante il secolo nel quale questi ultimi governarono la nostra regione).
Per l’esattezza, in epoca sveva (come già in precedenza) la costa tirrenica continuava ad essere presidiata dai castelli di Castrocucco e di Lauria, oltre che da altri cinque siti minori posti nella valle del Noce. Invece la costa jonica era protetta dai castelli di Policoro, Nova Siri e Pisticci, oltre che da altri undici siti fortificati di minori dimensioni. Inoltre, lungo l’istmo sinnico, troviamo le roccaforti di Seluci, Episcopia, Chiaromonte, Senise, Calvera, San Chirico Raparo, Colobraro, Noepoli e Tursi, oltre ad altri dodici siti fortificati. All’interno della regione abbiamo, nella valle dell’Agri, i castelli di Brienza, Marsico (Vetere), Craco e Cirigliano, con altri nove siti fortificati. Invece, nella valle del Basento troviamo i castelli di Potenza, Abriola, Brindisi (di Montagna), Anzi, Laurenzana, Pietrapertosa, Garaguso, Castelmezzano e Tricarico, con undici altri siti fortificati minori. Nella valle del Bradano troviamo i castelli di Matera, Miglionico, Genzano, Uggiano e Montescaglioso, oltre a quindici altri siti fortificati. Infine, nel Vulture, troviamo infine i castelli di Melfi, Cisterna, San Fele, Balvano, Banzi, Baragiano, Lagopesole, Montemilone, Muro Lucano, Rionero, Palazzo (San Gervaso), Venosa, Rapolla, Pescopagano e Ruvo, con altri nove siti fortificati, sempre di minor dimensione.
Fatto un rapido conteggio, erano ben centoventi le città difese da mura e munite di un castello di dimensioni notevoli (o comunque da uno più ridotto) le quali, almeno in linea teorica, appartenevano alla Corona. All’epoca esistevano, inoltre, molti casali (alcuni dei quali diventeranno, nel corso del tempo, dei veri e propri centri abitati). Sarà l’imperatore Federico II -che passerà molta parte della sua vita in Basilicata- a migliorare ulteriormente la situazione complessiva della regione, con una ripresa che investe anche il profilo economico. Non a caso, durante il suo regno vennero rafforzate le strutture difensive di Monte Irso (Peloso), Rocca lmperiale (oggi in Calabria), San Felice (non più esistente), Guarda Perticara, Boreano (scomparsa), Maratea, San Nicola de Ofido (non più esistente), Spinazzola (oggi in Puglia), Acerenza, Montalbano, Torre di mare, Monte Marcone (scomparsa), Lagonegro, Gaudiano (non più esistente), Lavello, Agromonte (non più esistente), Monteserico, Petra di San Giovanni (scomparsa), Vitalba (scomparsa) ed Altojanni (scomparsa quasi del tutto).
In generale, il regno del Sud Italia venne suddiviso dall’imperatore nei seguenti giustizierati: Sicilia al di qua del Salso, Sicilia al di là del salso, Calabria, Val di Crati e Terra Giordana, Basilicata, Terra di Bari, Capitanata, Terra d’Otranto, Principato e terra beneventana, Abruzzo, Terra di lavoro e contado di Molise.
Si tratta di undici distretti e risulta ben evidente l’impronta amministrativa sveva, che ovviamente riguarda anche la Basilicata: la regione, infatti, vede l’unificazione formale delle due precedenti istituzioni di giustizia. Tuttavia, giova osservare che, all’atto della promulgazione delle Constitutiones federiciane, avvenuta nella città di Melfi, ci si rese conto che l’area meridionale della regione, cioè l’antica Loukania -già sede del Giustiziere del Sinni, aggiunta alla Basilicata affinché l’entità avesse sbocco a mare e non restasse interclusa- era ancora quasi totalmente grecofona: pertanto Federico fece tradurre in greco-bizantino il suo capolavoro di diritto. In tale occasione le circoscrizioni amministrative basilicatesi vengono ridotte da dieci a cinque.
Continuò pure la libertà religiosa, per cui l’area sud della Basilicata rimase di fede greco-ortodossa, mentre il resto della regione adottava il culto cattolico.
Per quanto riguarda il diritto, sulla falsariga delle linee guida normanne proseguì l’abbandono del diritto longobardo: vennero di fatti aboliti gli istituti più retrivi, come quelli che riguardavano la donna (a cui, nel diritto ereditario germanico, non spettava nulla). Invece, basandosi sui canoni del diritto giustinianeo, le regioni sveve videro l’affermarsi definitivo della suddivisione in quote: in pratica gli abitanti del regno di Federico ll potevano disporre di due terzi del loro patrimonio -che, in genere, veniva assegnato ai maschi- ma del terzo rimanente non potevano disporre del tutto, perché una quota fissa era sempre riservata alla figlia di sesso femminile.
Infine, c’è da dire che furono solo tre i sovrani svevi che ebbero le funzioni reali: Enrico, che morì appena un anno dopo l’incoronazione, Federico il grande, e re Manfredi (che governò come luogotenente, ma che -come vedremo nella prossima parte- non fu neanche incoronato formalmente). Gli Hoenstaufen terminarono con Corradino, neanche lui incoronato, che venne ucciso e, dopo il quale, la Basilicata e il regno tutto passarono agli Angioini.