A poche settimane dal voto sul Referendum costituzionale per il taglio del numero dei parlamentari il fronte del No sembra guadagnare lentamente posizioni. Gianni Pittella, senatore ‘dissidente’ Pd e tra i fondatori del Comitato Dem per il No, si dice sicuro che “la marea montante di antipolitica” si trovi in una fase di risacca e che, una non più improbabile vittoria dei controriformisti, non pregiudicherà la tenuta del governo.
Intervista a cura di Peppe Papa per cityweek.it
Lei è stato uno dei principali promotori del Comitato dei democratici per il No, insieme a Nannicini e altri, in aperto dissenso alla posizione che andava assumendo il suo partito. Cosa la preoccupa di questa riforma Costituzionale, proposta dai vostri alleati di governo M5S, cui in precedenza avevate votato per ben tre volte contro in parlamento?
I cittadini si trovano di fronte a un taglio lineare da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori senza che vi sia un benché minimo cambiamento nelle funzioni delle due Camere, senza modificare il bicameralismo perfetto, cioè i due rami del Parlamento che fanno esattamente la stessa cosa. Nessun disegno generale di efficienza dunque, ma solo la tesi secondo cui i parlamentari sono troppi e costano troppo. A parte la volgarità di argomenti del genere, come se la democrazia non meritasse un costo e una rappresentanza diffusa, si tratta pure nel merito di balle clamorose.
Be’ la cosa non sorprende, i Cinque Stelle, in particolare, sono maestri in fake news
I parlamentari in Francia sono 923, tra Senato e Assemblea Nazionale, pressappoco lo stesso numero dei nostri. In Inghilterra sono 1426 tra Camera dei Comuni e House of Lords, 471 più che in Italia. Con la nuova legge, l’Italia avrebbe un parlamentare ogni 101mila persone (ora è 1/64mila), un rapporto più alto di Germania (1/117mila), Francia (1/116mila) e Olanda (1/115mila), scendendo di fatto all’ultimo posto tra i 27 stati dell’Unione nel rapporto tra deputati e abitanti. Una follia che nelle regioni più piccole dove la rappresentanza delle minoranze viene quasi cancellata, diventa addirittura un fatto insostenibile dal punto di vista democratico.
Ma il taglio, dicono, ci consentirebbe di risparmiare parecchi quattrini a vantaggio del bilancio statale, dunque delle tasche dei cittadini
Ciò è ridicolo. Sulla tanto sbandierata riduzione dei costi, mi consenta di definirne la risibilità dei risparmi: 52,9 milioni di euro all’anno per i deputati (230 eletti in meno per un costo annuo di 230mila euro ciascuno) e 28,7 milioni per i senatori (115 eletti in meno per un costo di 249mila euro ciascuno). In totale, 81,6 milioni in meno. Togliendo le imposte, il risparmio netto ammonterebbe a 57 milioni, 0,007% della spesa pubblica totale annuale. Ma ancora più grave è il pensiero che sottende, l’idea che la democrazia sia un costo da tagliare mentre invece l’unica cosa a ridursi con questa legge scellerata è una riduzione della rappresentatività del Parlamento rispetto alla complessità sociale e politica del Paese.
Il Pd continua a tergiversare, Zingaretti dice che votare No mette a rischio il governo. La direzione del partito convocata a pochi giorni dal voto sembra preannunciare una insindacabile presa di posizione a favore del Sì. E’ il segnale di una definitiva resa ai 5 Stelle?
Non credo che ci sarà una ‘insindacabile’ presa di posizione a favore del Sì. Il Pd è attraversato da diverse sensibilità su questo tema e, anche nei due fronti, ci sono molte sfumature e accenti diversi. Credo che alla fine nel partito prevarrà un Sì problematico, garantendo una sostanziale libertà di intendimento ai suoi iscritti, militanti e riferimenti istituzionali. Nessuna resa politica né culturale, ma un’apertura alla pluralità.
Non la sorprende il fatto che per il Sì sia schierata la cosiddetta “Casta” e per il No pezzi di società civile e di élite allargate?
Devo dire che quando all’inizio pochi di noi, trasversalmente ai partiti e alle sensibilità culturali, fondammo il Comitato per il NO, ci sentivamo gli ultimi dei Mohicani e pensavamo avremmo sostenuto una battaglia giusta, ma ultra minoritaria. La presa di coscienza di larghi strati della popolazione, soprattutto dell’opinione pubblica più riflessiva, di intellettuali, accademici, associazioni di impegno civile, semplici cittadini che ci inondano di mail di incoraggiamento, mi sta davvero emozionando e mi fa pensare che qualcosa si sta muovendo nel Paese. La marea montante di antipolitica appare in una fase di risacca e le persone cominciano a riguadagnare consapevolezza che tanto più la politica è indebolita e frustrata, tanto più lo è la qualità della democrazia.
Referendum e regionali, un connubio potenzialmente esplosivo per il futuro politico del Paese. Cosa pensa possa avvenire rispetto alle diverse opzioni possibili a risultati acquisiti (vince il No, vince il Sì, debàcle dei partiti di maggioranza alle regionali, affermazione della destra anche in Toscana ecc..)?
Sarò controcorrente ma credo che la tenuta del governo e il prosieguo della legislatura siano condizionati da quanto si fa per far uscire il Paese dalle sabbie mobili, non dagli esisti referendari o delle elezioni regionali. Il Pil del mondo affonda e quello italiano cala quasi del 20%. Di questo ci dobbiamo occupare, non dei risultati nelle singole regioni, per lo più caratterizzati dalla qualità dei governi locali, o del dimezzamento degli eletti alle Camere. Inoltre, a parte il M5S, diciamoci la verità, non vedo i partiti realmente e militarmente schierati nella battaglia referendaria, da una parte o dall’altra. Per cui non ci saranno grandi vincitori o grandi vinti. E in fondo è bene così.
Il No sembra esprimere e sintetizzare la critica al mondo politico percepito come inadeguato all’emergenza che stiamo vivendo e maggiormente in sintonia con gli umori profondi del Paese reale molto più di quanto si immaginasse. Ricordiamo che secondo i sondaggi esiste oltre il 40% di cittadini che non si recheranno alle urne, o sono indecisi. Lei cosa ne pensa?
Come le dicevo il No, da posizione marginale, per addetti ai lavori, guadagna terreno giorno dopo giorno. Sembrano lontani i tempi in cui si invocava una politica debole. Proprio l’emergenza economica e sanitaria ci pone difronte alla necessità di istituzioni forti e rappresentative e, piano piano, pur nel generale disincanto, ciò si fa strada tra i cittadini.