intervista di M. Mon – “L’Unità”, 9 luglio 2015
Per noi «non esiste un’Europa e un’eurozona senza la Grecia», dice il leader degli eurodeputati Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, Gianni Pittella, ma non «a tutti i costi» e comunque Tsipras avrebbe fatto meglio a illustrare a Strasburgo le riforme.
Qual è la posizione del gruppo S&D sulla Grecia?
Per noi non esiste un’Europa senza la Grecia e un’Eurozona senza la Grecia avrebbe un altro senso. Per cui siamo impegnati da tempo a concludere una soluzione positiva che consenta di evitare l’abisso della bancarotta, che significherebbe un colpo mortale per i cittadini greci e un colpo notevole per l’eurozona e per l’Unione europea. Il dibattito di ieri dimostra che ci sono forze conservatrici nell’Europarlamento e tra i governi che o sottovalutano l’impatto negativo e fortemente dirompente di questa possibilità oppure prefigurano un’Europa a due velocità con da una parte i buoni e i puri e dall’altra i cattivi da castigare.
Un accordo con la Grecia va fatto a qualunque costo?
No. I debiti vanno ripagati. D’altra parte è giusto per i greci che il governo faccia le riforme necessarie non perché lo chiede l’Europa matrigna, ma perché serve ai cittadini. Non è un accordo a tutti i costi. È un accordo in cui ci sono doveri e obblighi a cui i greci devono ottemperare.
Questa posizione è accettata da tutti nel Gruppo S&D o c’è chi come il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz o il leader della Spd Sigmar Gabriel sarebbe d’accordo con un’uscita della Grecia dalla zona euro e vorrebbe limitarsi a fornire aiuti umanitari?
Con Schulz ci siamo chiariti fino in fondo in una lunghissima discussione che abbiamo avuto nel gruppo parlamentare con totale franchezza. Schulz ha spiegato che lui condivide questa linea e che c’è stata una strumentalizzazione e una distorsione delle sue parole. La famiglia socialista, anche nella componente socialdemocratica tedesca e anche Sigmar Gabriel, condivide questa linea e questa è una vittoria del Gruppo S&D. Inoltre io sono allergico a un’Europa germanocentrica e al duopolio o ai sinedri di pochi, ma bisogna anche tenere conto della forza della Germania ed è importante avere i socialdemocratici tedeschi che condividono la nostra posizione sul no al Grexit e influenzano la Merkel.
Come giudichi l’intervento di Tsipras al Parlamento europeo, ti hanno soddisfatto le sue risposte?
Io sinceramente non do un giudizio negativo. Avrei preferito e mi sarei atteso che si soffermasse di più su quello che bisogna fare da oggi in poi rispetto a quello che è successo in passato. Gliel’ho detto con franchezza in un momento di pausa. Perché oggi è giusto dire che l’austerità ha fiaccato l’economia e la società greca, è giusto sostenere, come lo sosteniamo anche noi, che la troika è stata un fallimento, ma di fronte al baratro bisogna fare delle proposte concrete che possano consentire una risposta europea in termini di sostegno finanziario, prestito ponte, piano a medio termine e rimodulazione del debito. Se fra tre giorni i cittadini greci si ritrovano ulteriormente impoveriti e con la dracma non serve a nulla la polemica politico-culturale.
In aula hai proposto una conferenza sul debito?
Ho detto che per la Grecia bisogna anche mettere sul tavolo una rimodulazione del debito e poi ho detto che è tempo di prevedere l’organizzazione di una conferenza europea sul debito che riguardi tutti i Paesi e non solo la Grecia. Io rilancio l’idea di un fondo di redenzione o di una mutualizzazione europea del debito attraverso gli eurobond.
Qual è lo stato del negoziato? Perché martedì non c’è stata una proposta e bisogna aspettare fino a domenica?
Tsipras sostiene che le proposte le ha fatte, che sono 47 pagine e che sostanzialmente c’era già una larga condivisione della bozza di accordo. C’erano piccole cose che andavano limate e lui si impegna in queste ore a mandare delle integrazioni all’Eurogruppo che si riunirà e domenica deciderà. Io penso che se lui veramente fa le integrazioni e fa un programma di riforme di medio periodo ci sono le condizioni per approvare un’intesa e attivare un prestito ponte immediato. È questione di ore e c’è il rischio di arrivare alla bancarotta anche se le parti politiche non la vogliono.