Questa domenica per “Le Grandi Interviste” ho avuto il piacere d’intervistare Patrizia Torricelli. Torricelli è una eccellenza italiana mediterranea ed europea. Prima di entrare nel vivo dell’intervista una mini bio della professoressa Torricelli. Buona lettura!
Laureata in Lettere classiche presso l’Università di Pisa nel 1972. Perfezionamento compiuto presso l’École Pratique des Hautes Études (EPHE) di Parigi. Ricercatore presso l’Università di Pisa dal 1973. Professore ordinario di Glottologia e linguistica presso l’Università degli Studi di Messina dal 1987. Presidente del Centro Linguistico d’Ateneo Messinese (CLAM) dal 2012 al 2019. Autore di numerose pubblicazioni in riviste nazionali e internazionali su temi di linguistica storica, teoria della lingua, glottodidattica e linguistica culturale.
Grazie per aver accettato il nostro invito.
Ce la faremo ad uscire da questo lungo tunnel della pandemia? Può la cultura essere la medicina per salvarci e modellare un nuovo sistema di sviluppo?
Sì. La storia ci rammenta che le crisi, di qualunque natura siano state, hanno sempre rappresentato un’occasione di rinascita, perché hanno costretto a ripensare l’esistente in cui ci eravamo adagiati, per pigrizia magari o pensando di non avere alternative. E questo esercizio ha stimolato la mente, ha suscitato nuovi desideri, ha reso urgente il bisogno di intervenire su ciò che non ci piaceva più e che tuttavia tolleravamo. La speranza di uscirne il prima possibile, che tutti ormai abbiamo, e la ferma volontà di farlo sono le prime vittorie riportate nella sfida alla pandemia che siamo stati costretti a accettare. La consapevolezza che non basteranno a consolarci dal dolore provato per le troppe morti di persone a noi vicine è la molla che servirà a rinforzare la nostra determinazione di usare tutte le risorse a disposizione per riuscirci. Sarà questo stato d’animo a farci apprezzare la cultura, intesa come conoscenza, competenza, intelligenza delle cose, sensibilità e fantasia e valori umani, Perché di queste doti ci sarà assoluto bisogno e degli uomini che le possiedono e possono farne dono a tutti. Solo così la cultura ci salverà. E non sarà soltanto una vuota formula stereotipata il dirlo.
Cosa è per lei la lingua italiana e che significa preservare la sua identità nell’ambito del multilinguismo europeo?
Ogni lingua è il sigillo culturale dell’identità di una Nazione. È uno scrigno in cui sono conservate tutte le memorie del nostro passato. È a questo scrigno che attingiamo quando vogliamo ritrovarci e capire, interrogando la lingua e le parole, che cosa pensiamo del mondo e perché lo pensiamo in quei termini. La scienza linguistica, ricorrendo all’etimologia, dispone di uno strumento preciso per farlo. Perché negli etimi – che delle parole sono il cuore – si cela il segreto del loro significato. La ragione per cui le idee prendono nella nostra mente – quando usiamo le parole con cui ne parliamo – l’aspetto che queste danno loro, facendoci pensare le cose esattamente come esse decidono che siano. Per fare un piccolo esempio, l’italiano anima trasporta nella nostra lingua il greco antico ànemos, che significa “il soffio del vento”, sovrapponendolo al latino anima, che vuol dire “fiato”, e ci narra, così, una storia di fede innestata sull’eredità linguistica preistorica d’origine indoeuropea. Ci racconta che l’anima appariva ai primi cristiani come un soffio interiore, e il respiro ne era la prova quando, prima di interrompersi con la morte, spirando la faceva volare in cielo. Vite passate dimenticate, che solo la lingua riesce a farci rivivere, se chiediamo alle sue parole di narrarcele.
Solo se sapremo conservare questo scrigno prezioso di memoria il futuro potrà sprigionarsi per noi più forte e più bello, ma senza smettere mai di assomigliarci. Facendoci sentire sicuri, perché consapevoli della nostra storia e dei nostri valori e confortati dal riflesso che di essi la lingua continuamente ci rimanda. E non, magari, smarriti in un universo globalizzato dove nessuno conta più come persona perché è irriconoscibile in mezzo agli altri. Il fascino delle lingue che oggi ci sembrano di maggior prestigio è ammaliante. Ma proprio la loro funzionalità internazionale le rende un oggetto di consumo di cui servirsi per lo stesso scopo, senza avallare alcuna tentazione di rinuncia a un bene che è parte di noi, e che in Europa ha occupato e ancora occupa una posizione di grande rilievo culturale. Mi infastidisce notare che alcuni documenti ufficiali europei sono redatti solo in inglese, francese e tedesco. Vorrei che ci fossero più Istituti di lingua e cultura italiana all’estero e che funzionassero davvero bene. Ma mi consola sapere che le lingue vivono di leggi proprie e che non sarà, perciò, la burocrazia a dar loro più o meno forza nel mondo bensì il prestigio di chi le parla.
Lei è anche una grande esperta di Africa … ha scritto degli articoli molto belli e profondi sulle grandi contraddizioni del continente africano e sulle responsabilità gravi della Europa … ce ne vuole parlare?
L’Africa è un continente attraversato da grandi tensioni, da violenze, malattie e povertà nonostante le grandi ricchezze del sottosuolo. Il caso del Congo, con la dolorosa vicenda dell’uccisione dell’ambasciatore italiano Attanasio e del carabiniere Iacovacci, è, nella sua drammaticità di cronaca quotidiana, emblematico. Il Paese ha giacimenti di cobalto e coltan, di rame, oro e enormi miniere di diamanti. Ma non sono i minerali del sottosuolo i beni essenziali di cui la popolazione ha bisogno per vivere. Altrove si trovano le industrie per la loro lavorazione, legata alla produzione di telefonini e auto elettriche, e le attività estrattive sono in mano a compagnie straniere. Né i ricavi dell’esportazione servono a innalzare il tenore di vita della popolazione, se il Congo ha un PIL pro capite fra i più bassi al mondo. A fronte, tuttavia, di una grande concentrazione di ricchezze fra quanti detengono le leve del potere. Paradossalmente, quindi, il possesso di un bene materiale, che ha un grande valore per tanti altri, diventa una fonte di problemi per chi lo possiede senza, tuttavia, avere la possibilità e la capacità di gestirne direttamente le potenzialità. Impreparata a ricavare dalle risorse del proprio territorio i vantaggi economici che ne traggono i Paesi ai quali l’esportazione è destinata, la popolazione ha poche alternative rispetto all’arruolamento nelle forze militari o paramilitari, alla guerriglia armata e alla corruzione per sperare di ottenere, dalle ricchezze del sottosuolo, un guadagno che sia maggiore della misera retribuzione del lavoro in miniera. Lasciandolo ai minori, il cui sfruttamento lavorativo, invano denunciato, è la norma. Possiamo sorprenderci se il margine fra la vita e la morte diventa una linea sottile, sempre pronta a essere superata in questa martoriata regione africana?
Non è da meno la Repubblica Centroafricana, uno dei Paesi più poveri di tutta l’Africa, secondo le fonti d’informazione. Nonostante sia ricca di uranio e diamanti, metà della popolazione dipende dagli aiuti umanitari e un quinto circa è stata costretta a lasciare le proprie case per sfuggire alle violenze dei gruppi armati, mentre l’analfabetismo resta una piaga insanabile.
Né va meglio in Costa d’Avorio, che pure vanta una delle economie più prospere dell’Africa con materie prime che vanno dal cacao al petrolio. Il 40% della popolazione rimane sotto la soglia di povertà, esclusa da ogni beneficio. Mentre il luccicare sul web di una vita diversa fuori dal Paese attrae sempre più giovani, con un aumento dei flussi migratori verso il Mediterraneo che aggrava, sulle sue sponde, situazioni già compromesse. Perché vivere, morire, migrare sono le sole opzioni offerte a chi si trova stretto in questa morsa. Ignorarlo non serve. L’eco ha già cominciato a risuonare nelle nostre lontane contrade con il sentore aspro della morte assurda di due connazionali.
Il passato coloniale ha fatto contrarre all’Europa un debito morale nei confronti dell’Africa. Ma, rimosse le responsabilità, con il trascorrere del tempo e il cambiamento degli assetti politici, l’Europa, diventata nel frattempo unita, ha assunto un atteggiamento di disinteresse che non le fa rendere un buon servizio, prima di tutto, a sé stessa. Basta pensare che il Congo sta diventando sempre più dipendente dalla Cina, che si occupa della realizzazione di un gran numero di infrastrutture nella regione. Tanto da far diventare il cinese lingua che si insegna nelle scuole. Un esempio di Soft Power da non trascurare. Soprattutto da parte di un continente, quello europeo, sottoposto a una massiccia pressione migratoria e con un’economia avanzata ma resa meno florida dalla pandemia e certo non autosufficiente. Una politica estera un po’ più accorta potrebbe giovare a entrambi. E forse contribuire a rendere un po’ migliore il mondo.
Lei è una donna del sud, benché sia nata altrove … cosa deve fare il sud per ridurre il suo divario da altre aree di Europa?
Apprezzarsi. Cercare nella propria cultura, nella propria storia e nella propria gente le risorse necessarie per affermare la sua identità e fare delle sue differenze non un difetto ma un pregio da sfruttare. Come lo sono, del resto, tutte le differenze, senza le quali il mondo sarebbe una piatta distesa di granelli di sabbia, uno uguale all’altro, e in cui non si riesce a scorgere niente e nessuno. Il sud ha sofferto la cancellazione storica del modello politico e della cultura sociale che gli appartenevano senza che la sostituzione con un’altra arrivasse a compimento riuscendo a incastrarsi nella precedente. È sempre rimasto un sottile spazio vuoto, camuffato dalle mode ma quasi mai veramente colmato. È un fenomeno assolutamente normale, che si può presentare quando due culture si incontrano e ne nasce una sorta di pidgin – così si chiama la mescolanza fra due lingue diverse che consente a entrami i parlanti di intendersi – per la buona pace di entrambe. Ciò non ha certo favorito l’allineamento. Soprattutto perché una delle due culture si è sentita superiore. Ma il problema non si risolve inseguendo il nord e cercando di imitarne atteggiamenti, inclinazioni e condizioni di vita. Altrimenti il sud rimarrà, irrimediabilmente, secondo. Invece ha le possibilità e le intelligenze per concepire una propria tipologia di sviluppo che attinga dalle esperienze altrui – in Europa e nel mondo – ma sappia tradurle nella cultura di cui la sua gente è intrisa ricavandone tutti i vantaggi che da questa tipologia possono, alla sua gente, venire. Accettando la sfida dello sviluppo, ma non i modelli imposti dall’alto e che non trovino appigli nel sentimento delle persone. In modo da raggiungere un livello idoneo a mettere il sud alla pari di altre regioni italiane e europee, senza tuttavia, privarlo delle caratteristiche peculiari che ne rappresentano la forza e alle quali non può rinunciare pena la perdita di questa stessa forza. Che risiede – ma sto semplificando – nel rispetto orgoglioso delle sue tradizioni, nel valore della famiglia, nella passione sincera di uomini e donne che vi vivono, nel senso profondo di amicizia e d’onore. Nella bellezza, varietà e ricchezza di un territorio carico di secoli di storia mediterranea. Nell’intraprendenza, a volte dolorosamente subita, della sua gente. Nella loro forza di carattere e coraggio. Nel senso della vita.
Certo, ci vuole la volontà di farlo e occorre creare le opportunità per renderlo possibile. Sfruttando ogni occasione come, per esempio, quella offerta dal Recovery Plan, sul quale il sud deve far sentire la sua voce nel quadro nazionale. E pretendere di essere ascoltato, senza alcuna rassegnazione, essendo consapevole che da ciò dipende il progresso dello stesso quadro nazionale.
Mi rendo conto che non è un percorso facile e che l’auspicio pecca di una punta di sentimentalismo idealista. Ma, come diceva Oscar Wilde, una cartina del mondo che non contenga Utopia non è degna nemmeno d’uno sguardo.
Infine lei ha avuto anche una esperienza politica, ha una cultura politica, una vicinanza valoriate e ideale verso i principi socialisti …
Ci dica
Ci sono persone più qualificate di me per parlare di questi temi. Soprattutto del socialismo, che nel mondo e in Italia ha avuto un ruolo politico e sociale di grande valore storico. Io posso solo osservare che in Italia esiste un’area moderata che nei principi del socialismo, del liberalismo e della democrazia partecipativa si riconosce e guarda con interesse alle sue posizioni. Il populismo è in declino. Non è più il tempo, ora che i problemi da affrontare sono diventati veri e minacciano la normalità della nostra vita, di vaffa, di proclami inutili e assurdi, di sobillazione sociale e di dilettantesche trovate. Il sollievo generale con cui è stata accolta la soluzione che Mattarella ha dato alla crisi di governo ne è una prova. I partiti di destra cercano di riposizionarsi assumendo un profilo più moderato, per allargare il consenso con un comportamento ragionevole che certamente gioverà loro. L’area di sinistra sta pagando l’appiattimento ai 5S cui si è condannata durante il governo Conte e nelle fasi successive inseguendo una alleanza strutturale di cui, peraltro, il movimento si fa beffe. Lasciando trapelare il sospetto di voler governare per governare, pur senza avere in mano un progetto appropriato e ben definito. Non basta dire che altrimenti vincono gli altri, come troppo spesso si è fatto. La politica non è un gioco a squadre, riguarda la vita delle persone. La politica è fiducia e speranza. È visione e azione. È un servizio prestato alla società. Sono qualità che la tradizione socialista di stampo liberale ha sempre coltivato. Ha rinunciato a applicarle per varie vicende storiche, sulle quali non è il caso di tornare, preferendo la libertà di pensiero individuale alla comunione d’azione.
Ma ora le cose sono cambiate. Con la pandemia è tornato il bisogno di concretezza, di solidità, di realismo, di un pensiero nuovo che sappia interpretare i tempi in cui viviamo e proporre soluzioni serie. Il mondo socialista liberale, nella sua varietà trasversale a tutti i partiti, dovrebbe interrogarsi su questo e cominciare – senza rivangare il passato che va lasciato agli storici – a rielaborare un proprio pensiero nuovo e a intraprendere azioni per diventare un polo politico dotato della forza d’attrazione che merita nel panorama attuale. Ci sono le intelligenze, le energie, le capacità e le esperienze per arrivarci. Bisogna crederci, volerlo e lavorarci con convinzione e costanza. Forti del valore d’una grande tradizione che ci ha insegnato a pensare per fare. Usando, per esempio, un metodo piramidale. In qualche modo analogo, benché su un altro piano dialettico, a quello che caratterizza lo stile politico inaugurato dal governo Draghi. Una punta di idee fondamentali, basate sullo studio attento di cose e situazioni, alla cui declinazione concorrono altrettante strutture competenti a farlo e con il compito di filtrare tutto ciò che proviene dalle tante parti diverse della società, per ricondurle a una sintesi appropriata. Così da non dimenticare nessuna di esse e convogliare il dialogo con le loro differenze in una graduata e ragionevole convergenza di obiettivi che si conciliano perché rivolti al benessere collettivo. Del resto, la lezione del liberalismo, che del secolo dei Lumi è figlio, consiste proprio nel saper concedere al pensiero altrui la stessa attenzione riservata al proprio, traendone spunto per riflettere sulle cose in maniera aperta e intelligente e ragionare con obiettività sulle soluzioni. Riportando su un piano di parità e proporzionalità le aspirazioni dei cittadini, tutte ugualmente meritevole dell’attenzione e del rispetto che la società, per sussistere, deve a ogni essere umano. La storia, con la memoria che ha lasciato, impone oggi un socialismo delle persone, non del regime. Che della loro dignità faccia la propria ragione di competitività politica e dei loro desideri – da colmare accettando il principio della differenza come dato sociale insostituibile, ma né discriminante né confliggente – il parametro della propria capacità di essere adeguato interprete del mondo che viviamo. Fatto infine – scriveva Schopenhauer, uno dei grandi filosofi della vita – di desiderio e volontà.
Grazie professoressa è stata una bellissima chiacchierata, sicuramente le nostre lettrici e i nostri lettori ne saranno felici.