Questa domenica per “Le Grandi Interviste” ho avuto il piacere di dialogare con Claudio Velardi. Uomo riconosciuto universalmente come una delle persone più intelligenti e poliedriche degli ultimi decenni. Noi siamo molto felici che abbia accolto il nostro invito. Prima di entrare nel vivo dell’intervista una mini bio di Claudio Velardi. Buona lettura!
Claudio Velardi è un giornalista, saggista e blogger, ma è stato tante altre cose nella sua vita. Dirigente politico e dall’86 al 90 Segretario regionale del PCI lucano, braccio destro di Massimo D’Alema e sua ombra alla presidenza del consiglio e alla guida dei DS, assessore al fianco di Antonio Bassolino al Comune di Napoli, editore del Riformista …
Dr. Velardi lei ha vissute tante vite e ha esercitato tanti ruoli, vogliamo fare una rapida panoramica partendo dalla Basilicata? Come mai si ritrovò segretario regionale del PCI lucano, come visse quella esperienza, ha qualche ricordo speciale?
Inviare un giovane, promettente quadro a farsi le ossa in periferia era una prassi piuttosto consueta, nel PCI. Lo consentiva la struttura fortemente centralizzata del partito, in qualche caso le divisioni dei gruppi dirigenti locali rendevano necessarie decisioni del genere. Bisogna anche tenere presente che tra Napoli e la Basilicata c’era un rapporto stretto: molti dirigenti campani si erano fatti le ossa proprio o venivano eletti in Basilicata, da Pietro Valenza a Umberto Ranieri. Nel 1985 mi chiamarono da Roma e mi dissero “vai” … le cose così funzionavano. I dirigenti del PCI lucano mi accolsero comprensibilmente con qualche diffidenza, non fa mai piacere che arrivi uno da fuori a “comandare”. Poi però con tutti loro costruii un rapporto forte, aperto e rude (magari anche troppo con qualcuno, ma è nel mio carattere!), e feci emergere una nuova leva, quella che avrebbe negli anni successivi e molto a lungo governato la Regione, da Filippo Bubbico a Vincenzo Folino e Antonio Luongo, che è stato mio grande amico, un vero fratello minore. Naturalmente va detto, sul piano storico, che gli eredi del PCI non sarebbero riusciti a conquistare il governo in una regione segnata da una forte egemonia democristiana senza Mani Pulite… ma questa è un’altra storia. Nei miei anni lucani, dall’86 al ’90, feci un buon lavoro di rinnovamento del partito, ma – parliamoci chiaro – politicamente “non toccavo palla”, anche perché DC e PSI erano guidate da personalità notevolissime, come Tonio Boccia e Rocco Colangelo. Quanto all’esperienza fatta, non voglio esagerare, ma penso sia stata la più formativa che abbia vissuto, dal punto di vista politico e umano. In auto facevo 130/150mila chilometri all’anno, i 131 comuni lucani li ho girati davvero quasi tutti. Ancora oggi mi sento con amici e compagni che incontravo nelle lunghe riunioni in sezioni non proprio… accoglienti, serate in cui si gelava dal freddo, che veniva sconfitto solo dalle lunghe mangiate e bevute che proseguivano fino a notte inoltrata… Che bello! Quanto ai ricordi speciali, temo che non basti lo spazio di quest’intervista, ma visto che questo è il portale del mio amico Gianni Pittella, devo dire che ricordo perfettamente le feste dell’Unità che si tenevano in un grande capannone a Lauria, anche con buona partecipazione, ma sempre con il cruccio che a Lauria erano altri che prendevano i voti, e Gianni ne sa qualcosa!
Velardi dirigente politico al fianco di Massimo D’Alema, prima alla guida del PDS/DS poi a Palazzo Chigi, dove per la prima volta veniva eletto un ex comunista. D’Alema disse “Non siamo figli di un Dio minore “…Ci parli di quelle esperienze, è vero che lei è stato il consigliere più ascoltato di D’Alema? E cosa gli disse quando, dopo la sconfitta alle elezioni regionali Dalema si dimise?
Per la verità, quando fui chiamato a Roma dopo la Basilicata stavo già pensando ad una nuova vita, non più da funzionario di partito. Volevo diventare giornalista, la carriera politica la sentivo un po’ stretta. Vi regalo anche una notiziola, penso mai venuta fuori finora. All’atto della nomina della direzione del partito dopo il congresso del ’91, chiesi al mio capo, che era D’Alema, di poterne far parte. Lui mi disse, con la sua nota schiettezza, che aveva un posto e lo aveva riservato a Violante. Ovviamente mi feci da parte in buon ordine, e a quel punto proseguii nel mio percorso da giornalista, diventando capufficio stampa del PDS alla Camera. Quando poi D’Alema diventò segretario del partito, costruii – lo dico con una certa fierezza – per la prima volta in Italia intorno a lui uno staff, sul modello dei partiti più moderni, in particolare il Labour di Tony Blair. Il famoso, famigerato per alcuni, staff dei “Lothar”. Un’altra bella esperienza che poi portammo a Palazzo Chigi. Il consigliere più ascoltato di D’Alema… mah, qui vi regalo un’altra chicca. Una volta disse: “Velardi di prima mattina mi vede e mi dà addosso, accusandomi di ogni errore possibile e immaginabile… Dice dieci cazzate, però una l’imbrocca, per questo mi serve…”. Detto da lui, era un complimento, tutto sommato… Il giorno dopo le regionali fu lui a chiamarmi di prima mattina dicendomi “è finita, oggi mi dimetto”. Per me fu una liberazione, il governo aveva esaurito la sua funzione, eravamo tutti stressatissimi…
Perché ha poi rotto con D’Alema? E quali furono secondo lei gli errori compiuti in quella stagione politica tanto promettente? Perché non si fece nei fatti la Cosa Due?
Forse dire che ho “rotto” con D’Alema non è esatto. Dopo il governo maturai un po’ di convinzioni sul perché del fallimento di quella stagione, e cominciai a dirlo anche pubblicamente, in maniera piuttosto ruvida, a volte anche con espressioni ingenerose nei suoi confronti. Siccome entrambi abbiamo un certo caratterino, è bene evitare contatti ravvicinati, tutto qui… finirebbe a male parole. Ma questo non toglie nulla alla stima che porto per una persona di grande intelligenza e finezza politica. Nel merito, la mia opinione è che D’Alema abbia ancora oggi in testa una vecchia idea di egemonia, che eredita dalla sua storia. Ad essere sintetici, il motivo per cui la Cosa Due non decollò è che è vero che fu un’operazione di apparati, come si disse allora, ma i miei vecchi compagni dimenticano che l’apparato più cospicuo ce l’avevano loro…
Velardi consulente, manager, blogger, editore, opinionista…come è cambiata la sua vita?
E’ cambiata del tutto e, devo dire, alla grande. Ho liberato, e libero sempre più il mio spirito che potrei definire quello di un anarchico libertario, insofferente alle camicie di forza delle ideologie, delle discipline di partito. Mi sento totalmente affrancato dal punto di vista intellettuale, sono sempre in cerca non di verità ma di punti di vista interessanti, spunti di riflessione… Cerco di lavorare sulla comunicazione in maniera innovativa, andando al di là dei luoghi comuni e dei solti pacchetti preconfezionati… e poi corro, mangio sano, mi diverto, sono un nonno felice, che cosa potrei volere di più?
Secondo lei qual è il male della sinistra italiana, e della politica italiana, in eterna transizione verso un approdo che non arriva mai?
Qui la risposta è secca e semplice: la sinistra continua sempre a pensare di avere la verità in tasca, pensa che gli altri abbiamo sempre torto e vadano educati (o rieducati). Insomma non è umile, non capisce che il mondo è cambiato, che dalla gente bisogna prendere lezioni, non impartirne.
Il Covid, la prima ondata, la seconda, il Governo Conte, il prossimo Natale speciale, il vaccino, l’Europa: cosa ci dobbiamo aspettare?
In questo momento drammatico io sono indulgente verso i governi, verso tutti i governi perché nessuno sa bene che pesci prendere, diciamo la verità. Il governo Conte non mi esalta per niente, con i suoi stop and go, le sue indecisioni, i piani che non partono. Però non penso che bisogna buttare tutto per aria, non ne verrebbe fuori nulla di buono. Bisogna fare il nostro dovere di cittadini, anche quando ci sono decisioni che non ci piacciono. Consapevoli che l’incertezza è di tutti e durerà. Anche quando arriverà il vaccino, lo dovremo fare tutti (almeno questa è la mia opinione) ma temo che ci vorrà tempo per sconfiggere definitivamente il virus. Il che vuol dire essere realisti, e al tempo stesso ottimisti. Vinceremo noi, come abbiamo sempre vinto noi umani in tante battaglie combattute. Ora dobbiamo farlo avendo maggiore consapevolezza della necessità di creare un nuovo equilibrio nell’ecosistema, in un mondo che è sempre più interconnesso.
Grazie di cuore dr Velardi, l’ultimissima battuta …cos’è stato a suo giudizio Maradona, per Napoli, per il calcio, per il mondo?
Faccio un’ultima confessione, magari qualcuno storcerà il naso. Io avevo l’abbonamento in tribuna laterale A, all’epoca di Maradona. Il gol alla Juve segnato sotto l’acqua, sfidando la legge di gravità, lo vidi con i miei occhi allo stadio. Ho gioito per lo scudetto, l’ho seguito con apprensione nel suo percorso di sofferenza. Dal punto di vista calcistico non c’è storia, nessuno è stato e sarà come lui. Per Napoli ha segnato una speranza di riscatto. Perché qualcuno storcerà il naso? Perché dopo Maradona niente più abbonamento allo stadio, niente più passione per il Napoli… dopo alcuni anni mi sono innamorato di Totti (nessun paragone, ma un grandissimo anche lui), e ancora tifo Roma… spero che Gianni non se la prenda per questo mio sgarro… Grazie a voi e a presto!