Questa settimana per “Le Grandi Interviste” ho avuto il piacere d’intervistare il Presidente Giorgio Benvenuto; prima di entrare nel vivo dell’intervista una mini bio. Buona lettura!
Giorgio Benvenuto è un sindacalista e politico italiano. È entrato nella UIL il 1º ottobre 1955 ove ha ricoperto incarichi operativi nella confederazione e nel sindacato dei metalmeccanici. Fondatore della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) nel 1972 e divenuto poi segretario generale della UIL. Giornalista pubblicista dal 1965. Nominato Segretario Generale del Ministero dell’economia e delle finanze. È stato consigliere del Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (CNEL) dal 1981 al 1991 oltre che parlamentare, segretario del PSI.
Presidente Benvenuto abbiamo qualche settimana fa ospitato proprio sul nostro portale un suo scritto molto seguito ed apprezzato sul settantatreesimo compleanno della UIL. Grazie per aver accolto il nostro invito a rispondere alle nostre domande. La Uil è stata da sempre la sua casa, direi la sua ragione di vita, il suo impegno appassionato e mai domo.
Come è nato il suo amore per la lotta sindacale e per la UIL?
Ho imparato molto nel sindacato: ho capito il valore dell’impegno a difesa di diritti fondamentali del lavoro; ho compreso la forza formidabile della solidarietà per risolvere i problemi. Ho avuto la fortuna nella UIL, nella Uilm, nella Flm unitaria, nella Federazione Cgil-Cisl-UIL di poter lavorare con persone che credevano in quello che facevano, con passione, dedizione, entusiasmo. Abbiamo lavorato anni per diventare una forza trainante dell’unità sindacale e di un rinnovamento del movimento sindacale: ci siamo riusciti. Perché le classi dirigenti non si improvvisano. Per cambiare le cose ci siamo calati nella nuova realtà del lavoro degli anni ’60 ed abbiamo saputo avvalerci di lavoratori che erano coraggiosi militanti. Non abbiamo centrato l’obiettivo dell’unità che resta però sempre valido anche per merito di quella stagione di lotte. Il modo di fare sindacato è invece molto mutato. E’ la dimostrazione che, se si vuole essere protagonisti anche in situazioni difficili, il sindacato confederale deve intervenire per dare il suo contributo alla soluzione dei problemi del Paese. Anche nelle emergenze.
Ci dica in questa conversazione aperta e franca, quali sono stati i momenti di maggiore gioia e quelli di più grande ansia nel suo percorso sindacale
Ho avuto un rapporto diretto con tanti lavoratori che ancora oggi, quando giro per l’Italia, mi dimostrano stima ed amicizia. Quando siamo assieme ricordiamo i dirigenti, gli attivisti, i militanti sindacali noti e meno noti, che si sono battuti per valorizzare i lavoratori anche nella loro veste di cittadini. Va detto poi, senza presunzione, che alcune delle conquiste dei metalmeccanici, di Fim, Fiom e Uilm sono entrate nella storia, come quella dello Statuto dei Lavoratori. Penso ai tre contratti dei metalmeccanici del 1969, 1973, 1976. Una strategia riformista costruita con una mobilitazione straordinaria. Un certo rimpianto c’è per non aver condotto in porto il progetto di unità sindacale organica. Mi dispiace anche che non sia valorizzata come merita la stagione unitaria della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (Flm).
Ha mai pensato che si potesse realizzare in Italia, oltre alla unità d’azione dei tre sindacati federali, anche un sindacato unitario, capace di rappresentare la grande maggioranza dei lavoratori e dei cittadini italiani?
Devo dire che all’unità sindacale ci siamo arrivati molto vicini. Allora la responsabilità dei partiti fu grande, anche a sinistra. Il Pci non voleva perdere l’egemonia sulla classe lavoratrice. Fra i lavoratori l’aspirazione unitaria era invece molto diffusa. Basta ricordare l’adesione massiccia a tutte le lotte sindacali. La Federazione Cgil, Cisl, Uil voleva le riforme, chiedeva cambiamenti profondi nel rapporto fra aziende e lavoratori, cercava di riunificare in una proposta di sviluppo le grandi aree del Paese, nord e sud in particolare. Il mondo politico era in difficoltà: il sindacato era diventato con le sue iniziative troppo autonomo e quindi scomodo.
Cgil, Cisl e UIL in quegli anni sono state una forza unificante, una componente decisiva dello stato democratico. Il sindacato è stato il custode dei principi e dei valori della solidarietà tra le persone. E’ stato, in rapporto dialettico con i partiti e con le altre forze sociali una grande forza per attuare i diritti civili.
La Flm e la Federazione Cgil, Cisl, Uil sono state capaci di sottrarsi ai manicheismi dello scontro ideologico. Hanno sconfitto il terrorismo sui luoghi di lavoro, nelle grandi fabbriche, laddove esso sperava di reclutare la manovalanza del crimine politico, sedicente rivoluzionario. Hanno contribuito alla costruzione dell’Europa.
Ci parli della decisione di guidare il PSI, quando il PSI era nella tormenta di Tangentopoli. Sapeva quanto impervio e difficilissimo sarebbe stato il suo sforzo? Cosa portò al fallimento? Come giudica col distacco dell’oggi, quella vicenda storica, quella temperie che ha segnato profondamente il Paese
Se mi si domanda, come avviene di solito: “rifaresti l’esperienza alla guida del Psi?”. Risponderei di sì, per una ragione molto semplice: la mia militanza di socialista. Non potevo tirarmi indietro. Sapevo che era troppo tardi per salvare il partito, ma non mi rassegnavo. Purtroppo non stava franando solo il Psi ma l’intero sistema politico della prima Repubblica. Cosa ci hanno consegnato le vicende politiche dopo Tangentopoli? La difficoltà di ricostruire una vera e competente classe dirigente capace di prevedere e provvedere ai problemi del futuro e meno di pensare alle poltrone. Uno scenario politico nel quale la gente si è abituata a credere che basti un “uomo della provvidenza”, sia esso il Presidente del Consiglio, sia un governatore di regione, sia un capo di partito per risolvere i problemi. E’ così che si è declassata in modo colpevole la partecipazione. Le forze politiche hanno perso radicamento sociale, sia quello diretto sia quello che dipende da un confronto aperto con i corpi intermedi ai quali, quando non si denigrano, si ricorre solo per avere consenso o per risolvere questioni che non si sanno gestire. Occorre ritrovare un modo nuovo per rilanciare, soprattutto fra i giovani, il senso di una militanza che non è solo passione ma è soprattutto identità. Altro che le primarie, buone solo a individuare un leader che alla fine si trova circondato da clan e prigioniero di effimere unanimità nelle quali crescono le congiure di palazzo.
Ci parli di Bettino Craxi e del suo rapporto con Bettino Craxi…
Su Craxi manca ancora un giudizio che renda giustizia alla sua azione politica. E’ stato un leader politico che non divise mai il sindacato. Rispettava Cgil, Cisl e Uil. Stimava molto Luciano Lama ad esempio. Sapeva guardare oltre i problemi contingenti. Quando mi candidarono alla Segreteria del Psi mi disse: “Giorgio appoggio il tuo tentativo di salvare il Partito. Tieni però presente che il Psi è finito perché è identificato in me. Via io è destinato a soccombere. La stessa fine toccherà dopo anche agli altri partiti, ai laici, alla Dc, al PDS”.
Fu un profeta. Come Cassandra, ahimè inascoltato. Finì la prima repubblica. Iniziò una lunga stagione nella quale si alternarono tecnici e populisti di ogni tipo. Ma non solo: la sinistra dimenticò il suo radicamento sociale; divenne succube di un liberismo senza limiti. Sarebbe utile per un giudizio più sereno una rilettura dell’azione politica di Craxi in campo internazionale: l’impegno profuso contro le dittature, la vocazione europea condivisa con altri grandi personaggi del socialismo occidentale, il sostegno alle battaglie per la democrazia in Spagna, in Portogallo, in Grecia, nell’America del Sud, in Polonia e in Cecoslovacchia. Le iniziative per il reciproco riconoscimento tra palestinesi e israeliani. Ricordiamo le parole di Ciampi: “l’impegno di Craxi fu importante per l’Europa e per la pace”. Non dimentico nemmeno la commemorazione che in occasione della sua scomparsa venne fatta alla Camera dei Deputati. Parlarono Luciano Violante, Presidente della Camera, Massimo D’Alema Presidente del Consiglio ed Enrico Boselli Segretario del SI (Socialisti Italiani). La famiglia non volle però accettare i funerali di Stato proposti dalle istituzioni.
Nella vita dei protagonisti della politica ci sono luci ed ombre, ma restano anche lezioni utili per il futuro. Non è stato finora così. Si è smarrita l’idea di una sinistra riformista. E quando si è trattato di celebrare il centenario della scissione al Congresso Nazionale del Psi a Livorno è sembrato che si volesse esaltare solo la nascita del PCdI (“fare in Italia la rivoluzione, costituire i soviet come in Russia”). Non si è ragionato sulle conseguenze di quella rottura della sinistra. Ancora oggi rimane senza risposta l’appello appassionato di Filippo Turati a ritrovare le ragioni della unità della sinistra sociale e politica.
Lei ha sempre lavorato con particolare competenza sui temi fiscali, oggi è in atto un generoso tentativo di riforma del sistema fiscale italiano. Quali sono a suo giudizio i punti essenziali per dare ai cittadini un fisco più equo e più giusto?
La situazione economica e sociale è oggi molto seria. Non si risolve con gli slogan o con le minestre riscaldate per cucire provvisorie ed effimere alleanze di potere. Mario Draghi sta tentando un cambio di marcia, con fatica perché è difficile governare con tutte le forze politiche che non vogliono sentir parlare di interventi impopolari ma solo di decisioni che garantiscano consenso. Si ignorano gli ideali, si sprecano le prediche dense di inutile e fastidiosa retorica. Eppure il Draghi della distinzione del “debito buono dal debito cattivo” fa sperare che qualcosa stia cambiando e che il Recovery fund non serva ad alimentare assistenzialismo ma investimenti, lavoro, modernizzazione e digitalizzazione del Paese. Mario Draghi è convinto di poter giocare un ruolo da protagonista in Europa. La crisi delle leadership in altri Paesi fa pensare che l’Italia possa essere in grado di tornare ad esercitare un ruolo importante. Le regole europee vanno cambiate, la geopolitica impone scelte difficili, i nostri competitori, USA e Cina, stanno impegnando risorse imponenti per ripartire e dobbiamo giocoforza accelerare il passo. Penso che si devono affrontare le questioni economiche per quello che sono, attraverso un ampio confronto di merito che coinvolga governo, partiti e corpi intermedi e, se necessario, passi anche attraverso grandi accordi come fu quello raggiunto con le forze economiche e sociali dal Governo Ciampi. Bisogna pensare alle vere emergenze: va rimesso ordine nella sanità italiana ed in profondità come testimoniano le vicende della pandemia. A volte lo stato della nostra sanità ricorda la dipendenza italiana dalla mancanza di materie prime: eravamo in balia degli altri. Ma non è così, vuoi per l’abnegazione dei nostri operatori sanitari, vuoi per le eccellenze nella ricerca e nella produzione. E’ mancata la gestione politica che poggia sulle sabbie mobili di un federalismo malfatto. E si devono riorganizzare al più presto gli ammortizzatori sociali, distinguere la assistenza dalla previdenza, far ripartire le opere pubbliche sul serio, senza mortificare i diritti e la salute dei lavoratori. E va rimesso ordine in un sistema fiscale che ormai è una contraddizione in termini. L’errore di questi anni non va ripetuto: modificare a pezzi e bocconi un sistema che ha perso una sua identità ed ha aumentato le ingiustizie. Senza saper colpire la vera evasione fiscale, ovvero la grande evasione dei colossi del web e della distribuzione che continuano a realizzare indisturbati grandi profitti limitandosi a versare come elemosina modestissime ed irrisorie imposte. Il fisco va rivisto da cima a fondo. Non è possibile che l’Irpef la paghino solo i lavoratori dipendenti e i pensionati. Non è accettabile accumulare montagne di tasse non riscosse sempre meno esigibili nel tempo (nel magazzino dello Stato a fine 2020 ci sono 947 miliardi di euro –ndr: miliardi e non milioni– che non possono essere recuperati per il 90% dei casi perché fanno capo a contribuenti defunti o falliti o non capienti). Lo Stato si comporta come denunciava Pietro Nenni: forte con i deboli, debole con i forti. Non è possibile continuare a parlare di patrimoniale come se fossimo nel primo novecento: il mondo è cambiato la rendita investita nella finanza sfugge indisturbata al nostro fisco. Le grandi multinazionali del web godono di una incredibile extraterritorialità dappertutto in Italia, in Europa e nel mondo.
La società postindustriale è meno lontana di quanto sembri dalla riscoperta di quei valori antichi ed immutabili di una storia che accompagna l’uomo nella sua essenza sociale. Essa propone un mondo in cui la tecnologia può sollevare l’uomo dalla brutalità della fatica fisica. Ma cova l’insidia di nuovi tipi di alienazione. La conoscenza in essa è l’arma vincente. Le informazioni sono la sua materia prima. I servizi la sua concreta manifestazione.
Ci vuole coraggio politico, costruzione del consenso tra i cittadini, capacità di dialogo con le forze sociali che non devono a loro volta attendere sempre di essere chiamate. C’è bisogno che si facciano vedere ed ascoltare di più, è necessario che il mondo del lavoro ritrovi un ruolo centrale non solo nell’economia ma anche nella trasformazione del lavoro, della formazione, dell’ambiente, del welfare. E ci si deve muovere velocemente. Il tempo stringe.
Grazie Presidente le sue parole suonano come esempio e come sprone per tutti noi. Viviamo un momento di enorme gravità ma dobbiamo uscirne e la sua vita, la tenacia che l’ha caratterizzata sono il viatico giusto per affrontare le sfide dell’oggi e preparare un domani migliore. Auguri per la Pasqua e per tutto a Lei e agli amici del nostro portale.