Un uomo di calcio, nel senso più puro e romantico di questa definizione. Gigi De Canio vive nel calcio e per il calcio da più di 50 anni. La carriera di calciatore in Serie C, poi un bellissimo percorso che lo ha portato a gestire alcune delle squadre più importanti del nostro campionato. Ma, soprattutto, una persona mossa da una grandissima passione per questo sport, che oggi lo porta ad essere un opinionista televisivo molto apprezzato per la competenza e la pacatezza negli interventi. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare dell’amore per il pallone e di quanto questo amore abbia inciso sulle sue scelte di vita.
Mister, che cos’è il calcio per lei?
“Il calcio è una passione, un hobby, una professione e anche un’attività su cui investire. Ma rappresenta anche una fabbrica di illusioni per tutti i giovani che puntano tutto sul pallone e poi purtroppo non riescono ad avere successo. È però anche una scuola di vita: come a scuola e in famiglia, anche nel calcio impari da subito a rispettare delle regole. Regole che valgono nel calcio, ma anche nella vita. Impari che è necessario uno stile di vita adeguato, diverso, fatto di rispetto di orari, allenamenti, riposo, alimentazione controllata. Tutte cose che poi ti accompagnano per sempre”.
Immagino non sia solo una questione di talento. Cosa altro occorre per farcela?
“Senza il talento è difficile diventare un calciatore, coronare il tuo sogno, e se hai inseguito questa illusione e hai commesso l’errore di smettere di studiare ti trovi prima o poi a fare i conti con la realtà della vita: quando non hai più l’età per continuare a giocare devi inventarti un’altra professione, ed è tutta altra cosa se hai giocato solo a calcio. O forse pensi di fare l’allenatore, ma rispetto a quando giocavi è completamente diverso. È un’altra professione e non è detto che tu ne abbia le capacità, magari non le sai nemmeno riconoscere. Perciò l’aver inseguito sogni e le illusioni può portarti fuori strada”.
Come ha conosciuto il calcio e come ha iniziato ad appassionarsi a questo meraviglioso sport?
“Ero un ragazzino promettente e studioso e si giocava a pallone con gli amici, a Matera, nel rione in cui sono nato e cresciuto. Ma già allora, ricordo, c’era una gran competizione. Era bello sfidare i ragazzi degli altri rioni in tornei improvvisati in cui l’unico obiettivo era primeggiare e portare la nostra squadra rionale ad essere la più forte della città. A 14 anni mi iscrissi al settore giovanile della squadra del Matera, in Serie C, per avere la tessera di ingresso gratis alle partite della Domenica della squadra della mia città. Dopo meno di 3 anni di giovanili fu subito esordio in C, in prima squadra. Mi dicevano, e mi piaceva pensarlo, di avere grandi prospettive nel calcio, ma evidentemente non avevo la stoffa del campione visto che comunque ho giocato tante partite in Serie C e poi basta”.
E poi, a fine carriera, inizia la sua seconda vita: quella di allenatore. Come è nata questa possibilità?
“Mi sono ritrovato a 30 anni con la necessità di inventarmi un mestiere dopo la carriera da calciatore, e lì ho capito che nella vita è importante anche la fortuna. Diventare allenatore è stato uno sbocco naturale, ma se ho avuto la forza di iniziare lo devo al mio personalissimo colpo di fortuna. Ho incontrato un angelo: il professor Gaetano Michetti, che all’epoca era il governatore della Basilicata ma era anche un grande appassionato di calcio, nonché presidente del Pisticci. Lui mi ha affidato la guida della squadra, chiedendomi di fare l’allenatore e anzi mi ha praticamente imposto di inseguire questa mia inclinazione, trasmettendomi la sua fiducia nelle mie capacità. Aveva più fiducia lui in me di quanta ne avessi io. Mi ha dato una motivazione feroce per studiare con grande impegno tutti gli aspetti inerenti il calcio”.
Da Pisticci in poi inizia un’ascesa continua.
“Sì, poi è iniziato un bellissimo percorso dai campionati dilettantistici alla C2 col Savoia, a dicembre del 1993. Poi le belle esperienze in Serie A alla guida di Udinese, Reggina, Siena, Lecce, Genoa, con un passaggio al Napoli nel campionato di B nel 2001/02. E poi il lavoro all’estero, al QPR, in Inghilterra. Una società che aveva come presidenti Briatore, Ecclestone e Lakshmi Mittal (attuale presidente dell’ArcelorMittal, la holding che ha acquistato l’Ilva di Taranto, ndr). Tutte avventure che porto nel cuore e mi hanno lasciato dei ricordi indelebili”.
Le difficoltà, immagino, non saranno mancate di certo. Come ha affrontato i momenti più complicati?
“La determinazione, quella è fondamentale quando ci sono dei problemi. In questo modo sono riuscito ad affrontare con grande passione un percorso che mi ha dato e continua a darmi grandi soddisfazioni”.
E adesso, il futuro? Cosa riserva a Gigi De Canio?
“Il futuro lo viviamo con molta serenità sperando sempre di poter essere all’altezza della situazione, per poter offrire un contributo di esperienza ma soprattutto per continuare a ricevere quelle emozioni e quelle sensazioni che il calcio riesce a dare in qualsiasi categoria e a qualsiasi livello”.
Sicuramente la passione e la determinazione sono due aspetti fondamentali per restare tanti anni ad altissimi livelli. Ma c’è anche dell’altro?
“Chi pensa che si tratti solo della partita della Domenica sbaglia. C’è una professionalità molto elevata a tutti i livelli, non solo fra i calciatori ma anche fra le tante figure professionali che sono altrettanto importanti. Medici, fisioterapisti, psicologi, preparatori atletici, specialisti dell’alimentazione. È un mondo che stimola una crescita continua perché non ci si può mai fermare, bisogna aggiornarsi sempre, così come in tanti altri ambiti della vita. C’è la passione, ovvio, ma non è solo questo: essere sotto gli occhi di tutti dà tanta visibilità e notorietà ma questo implica anche delle responsabilità importanti nei confronti di chi ci segue, soprattutto rispetto ai giovani che guardano al calcio e ai calciatori, continuando sempre a sognare”.
Da grande amante del calcio e da persona affezionata alla città di Napoli sarà sicuramente rimasto molto colpito dalla morte di Diego Armando Maradona. Come l’ha vissuta?
“Maradona è stato, come tutti i grandi calciatori, un esempio da seguire, un campione assoluto che ha fatto sognare, che ha fatto emozionare, che ha avvicinato più persone al calcio. Un patrimonio di tutti, per il talento che ha unito tutti gli appassionati. E se vogliamo anche le vicissitudini negative della sua vita privata possono essere di insegnamento, senza però volersi ergere a giudici di nulla. Diego ci ha insegnato cosa significa essere anche fragili e cadere nelle insidie che il mondo ti presenta, ma la cosa bella è che comunque, oltre ad aver vissuto tutto con grande dignità, rimane il ricordo delle sensazioni, delle emozioni, delle magie che ci ha regalato. Io non l’ho conosciuto ma ne ho sentito parlare tanto quando ho allenato il Napoli, e chiunque abbia incrociato il suo cammino mi parlava sempre della sua infinità bontà, oltre che del suo immenso talento”.
E poi c’è Paolo Rossi, un altro enorme lutto per il nostro calcio.
“Anche la sua morte ha rattristato molto me e tanti milioni di sportivi. Pur non avendo lo stesso genio calcistico di Maradona è stato comunque un grandissimo campione, anche di simpatia, di umanità, arrivando anche alle mamme, alle donne. È anche grazie a queste persone che il calcio ha assunto una dimensione planetaria coinvolgendo famiglie intere a tutte le latitudini ed è diventato lo sport più amato al mondo”.