Questa settimana ho intervistato Chiara Cavallo, salentina di nascita e di ritorno. Chiara è esperta in comunicazione e creatività, produttrice; editrice del magazine online Focus on Africa e direttore della comunicazione Istituzionale del Summit dei premi Nobel per la Pace e di altre aziende. Una donna che ama esplorare con sempre maggiore interesse, e non solo per motivi professionali, il campo della salute e dell’alimentazione.
Di quante ore è composta la sua giornata lavorativa?
Preferisco non pensarci, finché è l’entusiasmo a guidare si può fare tutto.
Lei ha tanti progetti all’attivo, come riesce a conciliare tematiche diverse?
Credo sia solo una questione di visione e poi sono molto a mio agio tra le idee e i progetti. Il filo conduttore non deve essere necessariamente monotematico, sono molto più interessata a come si fanno le cose e ai valori che uno ha e che esprime in ogni lavoro, sia che si parli di cultura, di salute, di territorio o di pace.
Dal marzo 2019 è l’editrice di Focus on Africa, rivista interamente dedicata al continente africano. Come è nato questo impegno?
Ho incontrato Antonella Napoli, giornalista che non ha bisogno di presentazioni sul tema Africa, e lei mi ha parlato della necessità di illuminare le periferie dell’informazione, informazione che spesso non trova posto nel mainstream. Ho sempre avuto un’attrazione particolare per l’Africa e già nel 2008 ho contribuito e partecipato alla campagna per le primarie in Ghana per sostenere la candidatura di Samia Nkrumah. Quello che ho visto è stata una lezione di vera partecipazione popolare, quella di un Continente a cui dobbiamo dare delle chance. Ho pensato di dare una mano.
E oggi siamo più di trenta collaboratori, dall’Italia e dall’Africa, e abbiamo appena editato il secondo numero cartaceo.
Tra le idee in cantiere un progetto che sta sviluppando nel Salento colpito dal batterio Xylella che ha attaccato anche olivi secolari.
È più di un progetto. Il Salento è la mia terra, ha quindi a che fare con l’amore, quello per i miei luoghi. La Xylella non ha fatto prigionieri: ai tronchi immensi e nodosi, al verde senza soluzione di continuità si è sostituita un’uniformità mortifera. Non si può stare a guardare, bisogna raccogliere tutto il sapere, le risorse e la creatività per dare un nuovo futuro a queste terre. Devo dire però che dalle crepe la luce è passata, quella di tanti giovani entusiasti preparati e determinati a fare sul serio. C’è da scommetterci.
Non sarà più come prima. Come vive questa idea di non ritorno che la Pandemia ha generato?
Pensando a come è la nostra vita ora e a come sarà in chiave resiliente. Cercando di uscire dalla dimensione da laboratorio, dalla sensazione che stiamo vivendo, un esperimento collettivo. Abbiamo scoperto le nostre fragilità, personali, sociali, politiche. Non voglio fare l’ottimista ad ogni costo, ma nella tragedia per la prima volta ho sentito
nuove riflessioni sui giovani, sulla cultura, sulla responsabilità individuale e collettiva.
È questo il momento della sottrazione, del ridimensionamento non solo nella comunicazione, anche nel modo di fare impresa, di vivere. Sottrazione che va intesa non come privazione ma come possibilità di svelare l’essenziale.
Siamo vittime di un virus che si è evoluto e potrebbe essere, al di là dell’enorme impatto economico, la nostra occasione di un’evoluzione positiva.
Un sogno nel cassetto.
Portare un programma didattico nelle scuole per l’educazione alla Pace, magari proprio sull’esempio dei Premi Nobel. Credo sia fondamentale dare alle nuove generazioni la possibilità e gli strumenti giusti per ridefinire priorità e valori. È un sogno che si è fatto più urgente via via che è apparso chiaro a tutti che il virus che ha colpito il tutto mondo di democratico ha molto poco e che per alcuni paesi e alcune categorie più di altri il costo, economico in particolare, sarà altissimo.
Cosa conta di più nel modo di comunicare?
L’autenticità.