Poche parole per introdurre la mia rubrica “Basilicata. La storia, la politica, il suo popolo”. Ritengo che la conoscenza sia una grande risorsa, come anche un’ottima opportunità di crescita, e sono convinta che entrare nelle radici profonde di un territorio, specialmente in quelle del proprio territorio, sia un’esperienza che richiede tempo, sacrificio e dedizione per crescere con consapevolezza.
E’ un po’ come ricostruire l’albero genealogico della propria famiglia perché, in fondo, la Basilicata é una grande famiglia.
La mia rubrica rappresenta il mio impegno per i lettori lucani e non, per questo mi auguro che siate invogliati a leggere le storie che vi propongo con la stessa forza che mi caratterizza e mi induce a divulgare quanto più possibile la bellezza delle radici a cui appartengo. Raccoglierò le testimonianze di quanti hanno concorso a realizzare il quadro politico e la storia della Basilicata, utilizzando al meglio le potenzialità del territorio.
Buona lettura!
Rosita Stella Brienza
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Partiamo con l’intervista a Rocco Colangelo, il primo personaggio sentito per la rubrica “Basilicata. La storia, la politica, il suo popolo”. Si tratta dell’uomo che ha segnato il percorso di crescita del socialismo lucano.
La sua esperienza a servizio della Basilicata è maturata attraverso un percorso formativo che le ha consentito di entrare gradualmente sulla scena politica lucana. Quali sono stati i momenti salienti della sua formazione politica e come ha contribuito con il suo impegno allo sviluppo e alla crescita del territorio lucano?
“La mia formazione politica e la mia scelta di campo vengono da lontano, direi ab ovo. Sono stato socialista sin da giovanissimo perché nato e cresciuto in una famiglia socialista. Mio nonno materno fu il fondatore del Partito Socialista Italiano ad Avigliano, il mio paese natìo, dove ho cominciato la mia militanza negli anni 60 e ispessito il mio impegno prima come segretario di sezione e successivamente come consigliere comunale (ricordo una sospensione della mia iscrizione solo nell’anno in cui fu varata la sciagurata unificazione Psi-Psdi). Il retroterra politico-culturale del socialismo aviglianese, e in gran misura lucano, è rintracciabile nell’antifascismo di ispirazione nittiana e nella esperienza folgorante quanto effimera dell’azionismo. La mia maturazione politica è dunque quella consolidatasi in una non facile testimonianza riformista e terzaforzista, orgogliosamente rivolta fronteggiare il bipolarismo DC-PCI ed a costruire le basi di una sinistra di governo capace di interpretare e guidare un avanzato processo di modernizzazione della nostra regione, dando respiro e prospettiva ai ceti urbani lungamente sacrificati dal contadinismo che alimentava il serbatoio elettorale dei due partiti maggiori. Quello dei socialisti lucani è stato un lungo cammino, inaugurato in Basilicata subito dopo la scissione del Psiup sotto la leadership lungimirante di Elvio Salvatore, che si è manifestato lungo il ventennio successivo in un protagonismo crescente della nuova classe dirigente socialista (da Schettini a Di Mauro, da Cascino a Savino, da Pittella padre a Gianni, per non parlare di Michele Speranza e di altri, che mi perdoneranno la mancata citazione) e che è culminato proprio agli inizi degli anni 90 nella consacrazione del ruolo autonomo e alternativo dei socialisti, quando i consensi elettorali di comunisti e socialisti risultarono appaiati al 16%. Un traguardo storico, realizzato proprio durante la mia segreteria regionale del partito, ma purtroppo fulmineamente nullificato dalle note vicende di Mani Pulite e dalla conseguente dissoluzione del PSI. Finiva così, nel modo più drammatico e inglorioso, il più antico partito italiano, e finivano anche le mille traversie di quella inquietudine interna, di quella sua genetica tendenza al correntismo organizzato, per cui, in circa 25 anni di militanza, a me è accaduto di essere lombardiano, poi demartiniano di sinistra, infine martelliano. Ma è giusto sottolineare che la pur drammatica diaspora socialista lasciava sul campo in Basilicata una cultura di governo assolutamente matura ed originale, diventata adulta come scuola politica contrapposta alla scuola politica dominante della Dc di Colombo e di Verrastro, attualizzata nella versione decisionista di Boccia, e credo onestamente che sia stata una scelta meritoria, che ho condiviso in prima persona insieme con Gianni Pittella e tanti altri, quella di non relegarla nel risentimento nostalgico proprio dei perdenti, ma invece di portarla in dote al nuovo corso politico regionale dal ’94 in avanti, il nuovo centrosinistra che ha governato la Basilicata sino al 2019. Se non ritenessi di eccedere in enfasi, potrei dire che, nel nostro caso, Graecia capta Romam cepit, cioè che il riformismo socialista, che era stato in tutti quegli anni il contraltare diretto riconosciuto del continuismo democristiano, ha rappresentato il terreno distintivo degli indirizzi del governo regionale sul girare del secolo scorso esaltando peraltro tante qualità innovatrici compresse dentro il vecchio Pci, a cominciare da quelle di eccellenti figure come Filippo Bubbico, il Presidente dei grandi accordi sulla valorizzazione delle risorse naturali, della educazione digitale di massa (“Il computer in ogni casa”), dell’epica battaglia contro il deposito delle scorie nucleari a Scanzano. Ma è indubbio e pienamente dimostrabile che gli esponenti di estrazione socialista alla Regione e in Parlamento hanno lasciato le loro impronte digitali su molti degli atti politici più significativi degli ultimi decenni, dalla programmazione economica alla riforma degli apparati, dalle politiche della salute a quelle della formazione e del lavoro. E, al di là del giudizio controverso che se ne possa aver dato, a me è sembrato di intravedere un emblematico riconoscimento della storia nella circostanza che sia venuto proprio dalle file socialiste, da una grande famiglia socialista, l’ultimo Presidente della Regione prima della ventata di centrodestra che ha investito il Mezzogiorno nel 2019. Quanto a me, non posso autogiudicarmi circa il contributo di servizio che ho potuto rendere nei diversi ruoli che in 30 anni di impegno pubblico mi sono stati assegnati, da dirigente politico e da amministratore regionale. Ho avuto l’onore di esercitare funzioni di primo piano come consigliere regionale, poi come assessore alla programmazione economica e alle risorse umane, nonché alla sanità, ma anche come direttore generale della Presidenza della Giunta, e infine come primo Presidente della Società Energetica Lucana. Posso solo dire che ho sentito di vivere in diretta una lunga stagione di crescita della Basilicata, di aver partecipato in prima fila a battaglie politiche forse epocali e che i lusinghieri riconoscimenti ricevuti per lunghi tratti dalla nostra regione in sede nazionale ed europea hanno ampiamente ripagato il tempo di vita impiegato nella politica e i costi della passione in essa profusa”.
Con la caduta della Prima Repubblica lo scenario politico lucano è cambiato. Cosa rimpiange di quegli anni?
“Per effetto degli sconvolgimenti prodotti dalla stagione di Mani pulite che, non dimentichiamolo, ha di fatto seppellito grandi partiti della storia repubblicana, la cosiddetta Prima Repubblica ha subito una vera e propria damnatio memoriae, che ha finito per oscurare e misconoscere alcuni tratti fondanti di costruzione e consolidamento degli istituti della democrazia che restano il patrimonio imprescindibile anche del nostro tempo. Per fortuna della Basilicata e per l’intelligenza politica dei postcomunisti lucani la Prima Repubblica non è stata mai rigettata radicalmente e la sterzata giustizialista e populista è stata a lungo frenata e contenuta. Io credo che il grande intuito del compianto Antonio Luongo e del nuovo gruppo dirigente dalemiano fu quello di aver sottratto il Pci lucano alle sirene ammalianti della sinistra democristiana e della sua smaccata vocazione antisocialista e di aver puntato proprio sulla cultura di governo dei socialisti per aprire il ciclo fortunato del secondo centrosinistra. E non è un caso che, nel ’94, la Basilicata fu l’unica regione del sud a resistere all’alluvione berlusconiana nel Mezzogiorno. Certo, la regione non è un’isola e il panorama politico regionale si è andato negli ultimi anni inclinando in direzione delle tendenze nazionali prevalenti. Oggi può dirsi che anche da noi la Prima Repubblica è morta: è morta con la scomparsa dei partiti, con l’esasperazione dei personalismi e dei particolarismi, con la fulmineità delle carriere, con il declino delle competenze, con la ‘selezione avversa’ dei gruppi dirigenti. Non sono scomparse le sue storture: gli abusi del potere, le discriminazioni clientelari, la corruzione, il burocratismo. Sono invece cresciute a dismisura l’improvvisazione e l’inadeguatezza nell’esercizio delle grandi responsabilità pubbliche della regione. Come dire: abbiamo smarrito le cose buone, mantenuto le cattive e aggiunto altre aggravanti. Un pessimo affare per i lucani!”
Non per diffondere scoramento, ma come valuta il livello della politica dei tempi attuali (in cui i social hanno soppiantato il modello “romantico” della comunicazione politica, quello classico, fatto di piccoli gesti come: attaccare i manifesti, aprire e chiudere le sezioni, il tesseramento) e cosa propone per recuperare il romanticismo della politica e, quindi, il contatto con le persone?
“Non appartengo alla categoria dei passatisti, dei nostalgici del buon tempo che fu, ma non riesco ad individuare nelle pratiche politiche dei giorni nostri nulla che segni una evoluzione positiva. E non per l’inguaribile romanticismo con cui si ricordano appunti i rituali di un passato ormai lontano e le straordinarie prove di generosità rese da tante generazioni di militanti che spesso alla politica non hanno chiesto nulla, offrendo al contrario una testimonianza quotidiana e silenziosa di coscienza civica e di dignità personale. La politica deprivata dalla intermediazione sociale, veicolata dall’autoreferenzialità dei nuovi social media, è diventata non solo una esercitazione stucchevole di narcisismo, ma anche una disinvolta esibizione di quel pressapochismo culturale che permea largamente il dibattito pubblico nel nostro Paese. Difficile pensare che la vita democratica possa sopportare a lungo un così pericoloso processo di distorsione, di degenerazione e di svuotamento. Sono illuministicamente portato a pensare che, prima o poi, nuove forme di protagonismo sociale ritroveranno spazio e spinta, a cominciare dalle comunità locali, secondo modalità innovative oggi praticabili più di ieri proprio grazie alle reti di interconnessione (una ‘democrazia deliberativa’ dimensionata alle dinamiche di massa della società odierna). Un nuovo umanesimo fondato sul rispetto e sul valore delle persone e sul superamento dei meccanismi di emarginazione ed esclusione che la fine dei partiti e l’inaridimento della dialettica democratica hanno ulteriormente approfondito”.
Cosa serve oggi alla Basilicata per superare le emergenze e costruire un futuro migliore?
“La Basilicata deve assolutamente riprendere il cammino interrotto di una modernizzazione compiuta tornando a scalare velocemente la graduatoria delle regioni dove il buongoverno è validato e sostenuto dalla partecipazione e dal consenso popolare, com’è accaduto ad esempio nei già ricordati giorni gloriosi della grande marcia di Scanzano. Il punto di ripartenza è, però, una umile e consapevole riscoperta dei valori della qualità e della competenza e, quindi, una seria selezione dei gruppi dirigenti a tutti i livelli. Hic Rhodus, hic salta! Una regione di piccoli numeri può farsi valere soltanto se esibisce numeri eccellenti. E’ questo il fattore decisivo che può rovesciare le criticità in opportunità, riattivare i canali della partecipazione e rimettere in gioco le energie migliori della società lucana, accorciare definitivamente le distanze non solo geografiche tra la regione e il resto del Paese. Negli anni in cui alla Basilicata si guardava come ad un piccolo miracolo di fuoriuscita dal sottosviluppo, mi capitò di utilizzare la metafora paradossale del calabrone: ali troppo piccole per un corpo troppo grande, eppure un prodigio che ha rovesciato le leggi della fisica e della entomologia. Una regione piccola e ben ordinata può avvantaggiarsi competitivamente rispetto ad altre aree territoriali ad alta densità e complessità sociale e ambire a costruire modelli di nuova civiltà urbana capaci di attrarre intelligenze ed investimenti, del tipo di quello che l’esperienza recentissima di Matera capitale europea della cultura ci autorizza a immaginare”.