Poche parole per introdurre la mia rubrica “Basilicata. La storia, la politica, il suo popolo”.
Ritengo che la conoscenza sia una grande risorsa, come anche un’ottima opportunità di crescita, e sono convinta che entrare nelle radici profonde di un territorio, specialmente in quelle del proprio territorio, sia un’esperienza che richiede tempo, sacrificio e dedizione per crescere con consapevolezza.
E’ un po’ come ricostruire l’albero genealogico della propria famiglia perché, in fondo, la Basilicata è una grande famiglia.
La mia rubrica rappresenta il mio impegno per i lettori lucani e non, per questo mi auguro che siate invogliati a leggere le storie che vi propongo con la stessa forza che mi caratterizza e mi induce a divulgare quanto più possibile la bellezza delle radici a cui appartengo. Raccoglierò le testimonianze di quanti hanno concorso a realizzare il quadro politico e la storia della Basilicata, utilizzando al meglio le potenzialità del territorio.
Buona lettura!
Rosita Stella Brienza
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CHI SONO I GIOVANI LUCANI? SCOPRIAMOLO INSIEME.
Quella di Donato Faruolo è un’intervista particolarmente sensata e profonda da cui emerge che il sacrifizio e la resilienza sono elementi essenziali per vivere senza perdersi nello scoramento che caratterizza le difficoltà di un “Sud al cubo”. Il nostro Sud: la Basilicata, è un posto pieno di risorse naturali, dove se si ha la fortuna di nascere è possibile scoprirsi ingenui, e non cinici, fino a tarda età. Qui, infatti, si prende ossigeno ad essere idealisti e anche un po’ naif e per questo non si sbaglia se, man mano che si fanno le cose, ci si sacrifica per farle, si lotta contro la mentalità e purtroppo anche contro l’invidia sociale che, tra i peccati capitali, rappresenta quel sentimento di cruccio che indusse Dante Alighieri a chiudere gli occhi degli invidiosi col fil di ferro e a piazzarli nel Purgatorio in posa di ciechi che chiedono l’elemosina. Perché “fuggire” da questa meravigliosa terra? Per conoscere e capire come funziona il mondo altrove, non solo studiando, ma anche vivendo per migliorare partendo da se stessi. Buona lettura!
Se dovesse fare un breve racconto di se stesso, cosa racconterebbe?
Sono Donato Faruolo, e ho 36 anni. Ho conseguito un diploma all’Accademia di belle arti di Palermo, quindi una laurea magistrale in Comunicazioni visive all’Università Iuav di Venezia, per poi specializzarmi, tra laboratori e master, in comunicazione per il patrimonio culturale. Tra le altre cose, sono attualmente direttore artistico di Porta Cœli Foundation, organizzazione no profit che si occupa di arte contemporanea in Basilicata da oltre un decennio, e insegno presso l’Accademia di belle arti di Palermo. Provo a occuparmi d’arte e di comunicazione culturale con la consapevolezza che si tratti di intervenire su uno spazio in cui a tutti gli effetti è messa alla prova la tenuta civile della società che costruiamo, ma la cui erosione è spesso invisibile a chi poi ne viene danneggiato. Chi non ha letto Flaubert non può sentire la propria vita depauperata di qualcosa, e può certamente condurre un’esistenza piena e appagante anche senza incappare mai nella sua letteratura. Ma ciò non toglie che sia dovere della società non solo mettere tutti nelle condizioni materiali di poter accedere a quel patrimonio, ma anche e soprattutto costruire infrastrutture e interfacce che facilitino la penetrazione di quella consapevolezza del patrimonio nella vita di tutti, cioè costruirne paradossalmente il bisogno, la richiesta, il senso della mancanza.
Perché, secondo lei, i giovani lasciano la Basilicata?
Prima di decidere di “fuggire” dalla regione avevo cominciato a studiare all’Università della Basilicata. Alcuni docenti hanno mutato radicalmente la mia visione del mondo e il percorso era in larga parte fondato. Eppure c’era un’incredibile fatica da compiere che nessuno mi avrebbe riconosciuto come merito, ma sempre come tara: Internet non era quella di oggi, e per ottenere un libro era necessario che qualcuno te lo menzionasse, che tu lo ordinassi in una delle poche librerie sul territorio e che poi attendessi il suo arrivo entro una ventina di giorni almeno. Avvistai poco dopo un libro che per me era stato faticoso reperire in una comune libreria di Napoli – pure aperta di notte – in altissime pile al centro del negozio. L’enorme problema emerso non era dover attendere venti giorni per avere quel libro in Basilicata, ma dover compiere enormi fatiche per accedere a un’informazione che a soli 150 chilometri da lì era scontato che fosse nelle mie disponibilità cognitive prima che materiali. Questa specifica condizione di minorazione rispetto ai propri omologhi di altri territori permane.
Cosa offre il suo paese ai giovani?
Non ho mai avuto alcun rapporto con il mio paese. Non mi getterò in una lamentazione per le scarse occasioni di socializzazione che offre, se si escludono calcio e bar, anche perché io stesso non sento alcun bisogno di intervenire sulla questione, avendo le mie reti di relazione e di intervento su una scala che semplicemente prescinde la mia “appartenenza” puramente anagrafica. Non ho mai ben compreso, in realtà, la necessità di radicarsi in un borghetto, quando la Basilicata è davvero un luogo che si presta alle esplorazioni e alle piccole nicchie.
Cosa manca nel suo paese per migliorare la qualità della vita dei giovani o di chi vive in Basilicata?
Probabilmente dovremmo piantarla di trovare consolazione nelle nostre piccole prospettive. Faccio un esempio: abbiamo costruito Matera 2019 sulla narrazione del “riscatto”, perché siamo lusingati dal fatto che il mondo ci tenga finalmente gli occhi addosso. Questo vuol dire demandare totalmente a un’entità esterna le ragioni che ordinano il nostro senso di comunità civile. L’asservimento alle ottiche turistiche è diventato principale momento cementante di molte azioni politiche, comunitarie e culturali in regione. A pensarci, è una condizione asfissiante. Servirebbe una maggiore consapevolezza della posizione che si può verosimilmente occupare nel mondo, senza scorciatoie e senza auto-narrazioni buone solo per rinvigorire orgogli frustrati.
Qual è il suo sogno per la Basilicata?
Mi piacerebbe che costruisca percorsi di emancipazione culturale e che cominci ad affrontare le abnormi questioni pendenti che le gravano addosso da decenni, senza corporativismi e familismi vari. Certo quando, per esempio, i lavori di adeguamento del raccordo autostradale Sicignano-Potenza impiegano più tempo di quanto ne sia servito per costruirlo tout-court, rendendo fragilissimo in maniera inaudita e pericolosissima uno degli essenziali collegamenti viari della regione, è difficile che la cittadinanza si permetta il lusso di aspirare a più della risoluzione del contingente, verso il quale nutre già assuefazione e rassegnazione.
Conosce un lucano che ha fatto cose straordinarie per la Basilicata?
Conosco lucani che hanno fatto cose straordinarie, e basta. Le cose davvero straordinarie si compiono per onestà e obbedienza alla propria specifica natura, spesso senza riconoscimenti. Se dovessi citare qualcuno che rispettando questa semplice regola ha contribuito in modo determinante alla qualità della vita in regione, non potrei che pensare a Dario Carmentano, che non ha mai dismesso la propria passione “civile” per l’arte e la propria capacità di coordinamento e visione; ad Angelo Bianco con il lavoro eccellente e ostinato di Fondazione SoutHeritage; a Giuseppe Biscaglia e Francesco Scaringi, che con Città delle 100 scale festival moltiplicano per mille la vita spirituale di Potenza col meglio del teatro europeo; ad Aniello Ertico, presidente di Porta Cœli Foundation, che nonostante tutto ha tenuto in piedi per più di dieci anni uno dei pochissimi presidi per l’arte contemporanea sul territorio; a Mauro Bubbico, tra i più grandi progettisti grafici contemporanei, che ha certamente spostato alcune leve nel pannello generale delle nostre percezioni.
Crede nella forza dei giovani?
I giovani sono posti oggi in condizioni inedite di difficoltà nella definizione del proprio ruolo nella società. La precarietà, l’incertezza, la percezione plastica di non poter essere praticamente mai determinanti nella vita civile sono condizioni che si introiettano, che imprigionano, che paralizzano, che uccidono prospettive di visione e intraprendenza. Credo nella forza dei giovani non più di quanto creda in quella di chi è più grande – e spesso meno – ma specialmente i giovani vivono la condizione di essere stati sistematicamente allevati per essere irrilevanti.
Cosa le manca più di tutto?
Questo “vi” mi spiazza. A 36 anni se penso ai giovani non penso più ai miei coetanei – né tantomeno a me – che si può dire abbiano semplicemente saltato il turno nella possibilità di incidere nel mondo. Forse ci manca proprio la percezione di essere diventati grandi, l’onere e il gusto di immaginare, pensare, produrre, fare. Io stesso mi sento nella condizione di dover compiere una certa resistenza contro un mondo che prova in continuazione a circoscrivermi in un’eterna età puberale. Oggi, lavorando con i ventenni, vedo invece un’onda che si è semplicemente sbarazzata di impalcature e categorie ideologiche e culturali. È una sorta di “catastrofe” che si approssima, e che non è detto non sia da auspicare.
Come immagina se stesso tra dieci anni?
Prospetto, più che immaginare, un inasprimento della condizione di incertezza, un assopimento come unica reazione possibile a un mondo che avrà problematiche destinate a diventare presto insolvibili. A livello occidentale, poi europeo, poi italiano, poi regionale, più stringo l’ottica e maggiore è la sensazione che si stiano eludendo tutte le grandi questioni sul tavolo del futuro. Negli anni ’60-’70 in Basilicata si costruivano i viadotti e le dighe che hanno determinato la nostra storia per i successivi cinquant’anni: esisteva una visione, un progetto, un obiettivo, un futuro. Oggi è diventato troppo complesso anche solo presidiare le erbacce che crescono sui marciapiedi, assicurare che non ci sia ghiaccio sulle strade in inverno, affrontare le frane che inghiottono i collegamenti interni o assicurarsi che un unicum dell’ingegneria mondiale come il Ponte Musmeci sia preservato: come possiamo concederci il lusso di pianificare le prospettive?