Poche parole per introdurre la mia rubrica “Basilicata. La storia, la politica, il suo popolo”.
Ritengo che la conoscenza sia una grande risorsa, come anche un’ottima opportunità di crescita, e sono convinta che entrare nelle radici profonde di un territorio, specialmente in quelle del proprio territorio, sia un’esperienza che richiede tempo, sacrificio e dedizione per crescere con consapevolezza.
E’ un po’ come ricostruire l’albero genealogico della propria famiglia perché, in fondo, la Basilicata è una grande famiglia.
La mia rubrica rappresenta il mio impegno per i lettori lucani e non, per questo mi auguro che siate invogliati a leggere le storie che vi propongo con la stessa forza che mi caratterizza e mi induce a divulgare quanto più possibile la bellezza delle radici a cui appartengo. Raccoglierò le testimonianze di quanti hanno concorso a realizzare il quadro politico e la storia della Basilicata, utilizzando al meglio le potenzialità del territorio.
Buona lettura!
Rosita Stella Brienza
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Ecco perché Roma è una città eterna e attraente. Puntualmente dona qualcosa e non si smette mai di amarla. I suoi sono doni intangibili. A volte si tratta di apertura mentale, altre volte di segreti svelati a seguito di un bel confronto, altre volte ancora di pura emancipazione. E così quando intervisto i lucani che vivono nella Capitale, scopro la magia di tante vite indipendenti da schemi preordinati, decisamente originali e puntualmente determinate a vivere intensamente la bellezza e la straordinarietà della propria esistenza. In questa intervista fatta a Celeste Manno, nipote dello statista lucano, On. Emilio Colombo, si raccontano le donne della famiglia Colombo e di come tutte loro abbiano deciso di vivere insieme nella Capitale. Si tratta di donne normali, evolute e salde nei valori. Signore impegnate come mogli, madri e professioniste e che hanno scelto di rimanere “low profile” un po’ per rispetto alla famiglia e un po’ per carattere. Donne lucane capaci di voltare pagina quando, in un periodo storico difficile come quello del secondo dopo guerra, hanno deciso di guardare oltre il proprio selciato, superando quei confini tracciati dal celebre romanzo di Carlo Levi. Perché per loro Cristo non si è mai fermato a Eboli.
Oggi lei è impegnata politicamente come consigliera del Municipio II a Roma. Ma ha vissuto a Potenza fino al 1970, quando si è trasferita a Roma con i suoi genitori, dove già l’aspettava il suo amato zio Emilio…
Da otto anni ricopro il ruolo di consigliera a Roma e svolgo il mio ruolo all’interno di un Municipio molto ampio. Ricordo che zio Emilio ci lasciò proprio il giorno prima della mia elezione, il 24 giugno 2013, e ricordo che fino all’ultimo mi chiedeva quale fosse stato l’esito degli scrutini. “Celeste, allora sei uscita?”. Non dimenticherò mai le sue parole e interpreto come un piccolo segno del destino che lo zio, in quel giorno particolarissimo, mi abbia permesso di accogliere grandi personaggi politici come il Presidente della Repubblica, Napolitano oppure la Presidente della Camera dell’epoca, Laura Boldrini, arrivati a casa per salutarlo.
Il suo mondo familiare era denso di affetti amorevoli e valori saldi. Ci descrive il mondo delle sorelle Colombo…
Mia madre era l’ultima di sette figli. Tre maschi e quattro donne. Zia margherita era la sorella più grande. Lei, rispetto alle sue sorelle, aveva avuto la possibilità di vivere in contesti culturalmente più evoluti. Era la moglie di un prefetto, che per ragioni di lavoro era stato trasferito a Novara e, quindi, il confronto con una cittadina del nord l’aveva emancipata come donna. A tutto questo si aggiungeva il grande amore per la lettura che, in parte, aveva assorbito da mio zio intellettualmente molto vivace, tant’è che possedeva una biblioteca straordinaria. Poi, però, suo marito venne a mancare e fu così che zia Margherita si trasferì a Roma con mia nonna Rosa e zia Anna, la penultima sorella di mia madre.
E la seconda sorella chi è e di cosa si occupava?
La mia seconda zia si chiamava Elena. Aveva sposato un medico, poi Generale della Guardia di Finanza, e con suo marito si trasferì a Roma, dove insegnava. Il confronto con l’ambiente professionale romano la stimolava a fare sempre meglio e attraverso approfonditi studi portava avanti un lavoro intellettuale molto importante. Anche lei era una donna molto emancipata.
Deduco, dunque, che la terza sorella fosse Anna…
Sì, la terza era Anna. Magnifica. Lei suonava il pianoforte e, alcune volte, musicheggiava per zio Emilio, mentre lui si dilettava nel canto. Aveva una gran bella voce. L’associazione culturale “Maria Cristina”, come altre associazioni tra cui la Croce Rossa, quando vivevamo a Potenza, organizzavano bellissimi concerti di beneficenza in cui zia Anna era invitata a suonare. Noi partecipavamo con grande entusiasmo. Del resto, l’arte delle muse è sempre stata un linguaggio condiviso e molto presente nella famiglia Colombo. Adesso, mentre ne parlo, davvero mi sembra un altro mondo. Ricordo, poi, che quando la zia Anna si trasferì a Roma, fece uno stage in Rai e fu durante questa esperienza che commentò diversi brani musicali. Poi, quel breve periodo finì e non smise mai di fare quello che amava: suonare. A volte, negli ultimi anni della sua vita, non ricordava quello che aveva mangiato a pranzo, ma di fronte a un pianoforte sapeva benissimo cosa fare. La musica era la sua vita e suonò fino a quando si spense. Aveva 97 anni.
E in ultimo Maria, la quarta sorella in ordine d’età, nonché sua madre…
Mia madre era una donna molto studiosa. Avrebbe voluto studiare lingue a Napoli, ma la scelta ricadde sull’Università di Bari per la vicinanza a Potenza. E così si laureò in lettere. In questo caso i condizionamenti familiari hanno modificato le sue scelte. In quel periodo, lei era già fidanzata con mio padre, un amore che nacque all’interno dei contesti cattolici. Del resto, basti pensare che mio padre e zio Emilio erano entrambi molto religiosi e frequentavano il movimento cattolico. Ricordo che ci fu un episodio che legò mio padre, mio zio e mia madre come non mai: durante la seconda guerra mondiale, quando mio padre fu catturato dai tedeschi si trovava sullo stesso treno con zio Emilio. Ai due, la sorte riservò destini diversi e le loro strade si separarono quando mio padre fu portato via da quel treno e deportato in un campo di concentramento in Germania. Qui la fede l’ha salvato. Lui diceva sempre così. I prigionieri non mangiavano se non un pezzetto di pane. E ricordo che quando descriveva la quantità di quel pane che gli davano, avvicinava il pollice all’indice senza mai superare la seconda falange. Si salvò. Quando arrivò a Potenza era ridotto proprio male. Continuò a studiare, ma per la ferocia dell’evento subito in guerra riuscì a dare due esami in due anni, laureandosi. Era tormentato dai ricordi, tra cui la morte di un prigioniero fucilato per aver steso i suoi panni sul filo spinato. Ecco parlo di mio padre, grande amore di mia madre. Erano molto uniti. Ci tengo a dire che lei, nonostante potesse permettersi di non lavorare, non smise mai ed era un’ottima insegnante.
Ma qual era la figura femminile che ha avuto un ruolo chiave tra le donne di casa Colombo?
Senza dubbio la figura femminile più evoluta della nostra famiglia era zia Elena Tordela, sorella di mia nonna Rosa. Faceva la maestra e subito dopo la guerra aveva organizzato una scuola privata a casa sua, allestendola come fosse un edificio scolastico. C’era una classe con i banchi, la cattedra, la lavagna e soprattutto ricordo la sua bacchetta. Lei per noi ha rappresentato una donna di grande emancipazione sociale e culturale. Era una formatrice scolastica di grande livello, oltre che un’imprenditrice e la sua scuola era molto ricercata. Una donna evoluta. Senza dubbio.
Lei cosa ricorda delle donne che appartenevano alla società potentina dell’epoca?
Spesso rimanevo con zia Anna e con la nonna. Capitava che anch’io, nonostante i miei tredici anni, partecipassi al salotto della signora Solimena, mamma dell’allora sindaco di Potenza. Lei era una donna che amava ricevere a casa sua le signore e ricordo che erano tutte bellissime. Alcune volte, d’estate, frequentavano i caffè, come il Pergola e il Gran Caffè. Però il vero rituale era partecipare alla cerimonia del tè presso i salotti delle loro case. Loro creavano dei veri e propri circoli e rimanevano nel loro mondo. Ero molto curiosa e osservavo con grande attenzione queste bellissime donne che si muovevano con garbo nell’alta società potentina. Erano tutte colte, ben vestite e usavano portare cappelli alla moda.
E suo zio Emilio come si porgeva nei confronti delle donne?
Ricordo che a Potenza c’era il Partito femminile della Democrazia Cristiana e le donne partecipavano ai discorsi della vita del partito. Zio Emilio aveva un grande rispetto di tutte loro e le ascoltava con la dovuta attenzione. In modo particolare, ricordo che mio zio stimava moltissimo due donne del partito: Elena Di Nuzzo e Marianna Parisi. Entrambe erano attive politicamente e partecipavano alle riunioni per attuare i disegni politici, determinando anche la priorità delle scelte.
E poi la sua vita cambiò quando si trasferì a Roma, raggiungendo anche le sue amate zie…
Sì, mi trasferii a Roma perché mio padre era un dirigente della Banca d’Italia. Così fu che negli anni Settanta decidemmo di lasciare Potenza per raggiungere tutta la famiglia di mia madre. Dopo aver frequentato l’ultimo anno di liceo, mi iscrissi all’Università, precisamente alla facoltà di giurisprudenza. Da sempre attratta dal diritto canonico, il caso volle che, dopo il Concilio Vaticano II, le donne fossero ammesse al servizio degli uffici ecclesiastici. Pertanto, m’iscrissi all’Università del Laterano per conseguire la laurea in diritto canonico. Il destino volle che avessi accesso al Tribunale della Sacra Rota. Si trattava di un mondo chiuso, circoscritto a un determinato ambiente, che ho frequentato per circa quattro anni. Nel frattempo in Italia ci fu la legge sul divorzio e, dunque, la mia attività venne scemando. Ma continuai a essere attiva professionalmente senza mai smettere di lavorare. E così presi servizio in BNL (Banca Nazionale del Lavoro). Otto anni fa, arriva questa fase della mia vita con la partecipazione alla cosa pubblica nel ruolo di consigliera del Municipio II. Si tratta di gestire politicamente un territorio molto esteso: da San Lorenzo ai Parioli, da piazza Bologna a Villa Borghese, a Villa Glori, a Villa Ada… Insomma, quartieri diversi e con varie problematiche. La prima consiliatura è durata due anni con Marino. Caduto Marino, ci siamo ripresentati nuovamente alle elezioni e sono stata rieletta. Zio Emilio morì la notte tra il 23 e il 24 giugno. L’impegno politico lo vivo come un passaggio di testimone immeritato perché non ho le capacità di mio zio, ma la mia partecipazione la vedo come un momento di continuità. In fondo la politica l’ho sempre respirata. Per mio zio, ma anche grazie a mio marito, che lei conosce perché grande amico di suo padre. Tempi diversi, dove c’era un altro spirito della politica, che personalmente cerco di portare avanti tuttora con impegno, ma anche con difficoltà.