“La storia della nostra terra” è la nuova rubrica su questo portale, una serie di articoli a cura dello storico e Avvocato Antonio V. Boccia che ci accompagna in un percorso di scoperta storica della Basilicata. Buona lettura!
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Concludiamo la narrazione degli episodi storici salienti, ma inediti o poco noti, relativi alla bimillenaria storia della Lucania-Basilicata: in questo capitolo ci occuperemo quindi del Diciannovesimo secolo, ma non del Ventesimo: non solo perché quest’ultimo è troppo recente per essere commentato, ma anche perché gli eventi accaduti nell’ultimo secolo, a noi vicini, sono per lo più risaputi.
Con questa premessa, continuando in successione cronologica, ci ricolleghiamo a quanto descritto nella precedente puntata della rubrica, dovendo oggi parlare del ‘nuovo’ secolo, cioè dell’Ottocento: esso, come vedremo, porterà poca pace ai lucani e, anzi, si rivelerà un periodo molto travagliato, sia per la Basilicata che per le altre ‘Province’ del Regno di Napoli.
Il XlX secolo, infatti, si apre con l’arrivo delle vittoriose truppe reali sanfediste, nel corso dell’anno 1800 e, quindi, con la prima restaurazione borbonica: assistiamo perciò all’instaurazione di una serie di processi per i cosiddetti ‘rei di stato’, accusati di aver collaborato con i ‘repubblicani’ francesi durante l’anno 1799: gli iter giudiziari vengono condotti da un tribunale speciale e si concludono con pene capitali per tutti i principali capi delle rivolte, tra cui anche alcuni lucani (ricorderemo il noto giurista burgentino Mario Pagano, che viene giustiziato a Napoli).
Ancora, nel febbraio del 1806 il regno viene nuovamente invaso dalle truppe francesi che, stavolta, sono costituite dalle milizie imperialiste di Napoleone Buonaparte. A nulla vale la resistenza opposta dal sovrano napoletano, il quale deve trovare rifugio nuovamente in Sicilia, protetto dal mare che circonda l’isola e, indirettamente, dalla pochezza della flotta francese. Quindi, per otto anni, fino a tutto il 1814, anche la Basilicata resterà occupata dai militari francesi, i quali hanno insediato nella capitale una monarchia filo-bonapartista.
E’ degno di essere ricordato, proprio all’inizio di questo periodo, l’episodio noto come ‘massacro di Lauria’, un eccidio consumato l’8 agosto 1806 dai soldati francesi, in cui perirono un migliaio di italiani (‘napoletani’, volendo usare il termine allora ricorrente), oltre a soldati regi e, soprattutto molti civili, i quali si erano schierati con le truppe di Ferdinando. Sempre nel 1806 un episodio similare, con una sommossa filo-borbonica, si registra anche a Viggiano e si conclude anch’esso con un massacro in cui vengono trucidati dei civili.
Il cosiddetto ‘biennio corso’ (1806-1808), retto da Giuseppe Napoleone Bonaparte, oltre che per le azioni violente tese a stroncare la resistenza borbonica, si caratterizza in primis per le varie espoliazioni di opere d’arte. Intanto, sotto il profilo amministrativo, nel primo anno di occupazione i francesi scelgono Potenza come sede di capoluogo, al posto di Matera, dove quindi si insedia l’Intendente.
Di contro, il settennato murattiano (1808-1815) sarà caratterizzato dal buon governo. Che però, molto spesso, nella pratica si tradurrà in risultati mediocri. Ad esempio, per quanto riguarda la nostra regione, essa continua ad avere una vocazione prettamente agricola: ma le direttive di fondo, che nelle intenzioni sono riformiste, vanno a privilegiare in fin dei conti solo le classi maggiormente abbienti: di fatti, con l’abolizione formale e definitiva dei ‘feudi’, da un lato i fondi agricoli vengono presi definitivamente a titolo di proprietà dai nobili benestanti (cioè dagli stessi feudatari), oppure, d’altro canto -in caso di abbandono del precedente feudatario- sono comperati dai possidenti, che poi li trasformano in latifondi. Perciò la parcellizzazione dei terreni rimane teorica e, d’altronde, riguarda solo i fondi ecclesiastici: ma, anche in tal caso non ci sono dirette assegnazioni di terre ai coloni. Anzi, i cosiddetti ‘quotisti’, se con grande sforzo riescono a comperare un terreno, sono poi costretti molto spesso a rivenderlo ai latifondisti, per essersi eccessivamente indebitati. Sicchè la ‘questione agraria’ lucana, lungi dall’essere risolta, viene ulteriormente aggravata.
Nell’anno 1815, con la seconda restaurazione, il re Borbone rientra a Napoli e, nel 1820, per quanto ci riguarda più da vicino, abbiamo un nuovo -improvviso- cambiamento di coronimo; difatti, con la carta costituzionale approvata da Francesco di Borbone, Luogotenente del padre, la nostra regione viene suddivisa in due ‘dipartimenti’: la ‘Lucania occidentale’ e la ‘Lucania orientale’, con due capoluoghi distinti (Potenza e Matera). Tuttavia questo esperimento si rivelerà effimero: nella realtà, non durerà per molto tempo e si ritornerà -dopo appena due anni- alla riunione del territorio regionale e ad una unica denominazione, quella oramai classicheggiante di ‘Basilicata’, che resterà tale anche dopo il 1861, con il successivo arrivo della dinastia sabauda di Torino, di cui parleremo tra breve. (1)
Nel 1818, intanto, la strada carrozzabile arriva finalmente anche a Potenza, città capoluogo che viene collegata ad Auletta. Si deve poi registrare -negli anni Trenta- un primo tentativo generalizzato di scolarizzazione, che ovviamente riguarda anche la nostra regione, mediante l’istituzionalizzazione delle Scuole Pie, rette dal Ministero della Istruzione e degli Affari Ecclesiastici.
Nei primi anni Quaranta, grazie a una spinta economica di un certo rilievo che proviene da incentivi e capitali napoletani, hanno inizio le grandi opere di bonifica, che riguardano sostanzialmente il vallo di Diano, ma che cominciano a innescare un processo virtuoso di trasformazioni sociali che ha riflessi e conseguenze positive anche per la nostra regione, che è limitrofa al valdiano.
Si susseguono, subito dopo, le vicende politiche del 1848/49, le quali frenano in parte le innovazioni volute dal governo partenopeo. Inoltre, i due tremendi terremoti degli anni Cinquanta, quello del ‘51 e quello del ’57, che colpiscono il vulture-melfese, e poi il potentino e la val d’Agri, inevitabilmente contribuiscono a rallentare ancor di più la già lenta ripresa economica.
Veniamo quindi al fatale 1860 e ai dieci mesi di guerra non dichiarata, i quali hanno inizio nel mese di maggio: numerosi sbarchi in Sicilia di truppe irregolari capeggiate da Giuseppe Garibaldi, poi risalgono lungo il Mezzogiorno. Si tratta di una guerra fratricida che ha termine solo nel mese di febbraio del 1861.
Di fatto, in campo politico, la lotta tra i latifondisti e il potere centrale napoletano vede prevalere le forze borghesi neo liberiste, che si schierano con i garibaldini inviati dal governo di Torino, in un’ottica unitarista che non tiene conto delle diversità amministrative che caratterizzavano le varie entità statuali (che, all’epoca, componevano la Penisola). Ad essere sconfitti sono la monarchia di Napoli e la corrente di pensiero ‘unionista’, che guardava all’unione dell’Italia ottenuta con un modello confederativo, e non all’unità politica.
In Basilicata, agli albori dell’Italia unita, ci troviamo di fronte ad una situazione paradossale: nel nuovo regno d’Italia, che nascerà ufficialmente a marzo del 61, per quanto riguarda la suddivisione delle terre da coltivare, quei pochi latifondi demaniali ed ecclesiastici -rimasti ancora in essere dopo la spoliazione fatta dai murattiani- verranno purtroppo affidati definitivamente ai borghesi e ai ricchi, in un’ottica liberale, mentre i poveri perderanno invece i diritti sugli usi civici e, contestualmente, il sistema tributario introdotto dal nuovo governo centrale andrà a gravare sui meno abbienti. Ovviamente ne risulterà sconvolto il quadro economico generale. Infatti, nei territori del materano già verso la fine dell’anno 1860 scoppiano alcune rivolte, sedate dai soldati piemontesi con il pugno di ferro, che provoca una scia di sangue (così come già era accaduto in Sicilia, qualche mese prima).
Fino a quel momento, nella Basilicata borbonica -grazie a una graduale ripresa economica, che purtroppo avrà termine proprio con l’arrivo delle truppe di Torino- la situazione della popolazione residente nei maggiori centri lucani, alla luce del primo censimento dell’Italia unita realizzato proprio nel ‘61, in relazione agli abitanti era la seguente:
– Potenza: 16036
– Avigliano: 15278
– Rionero: 12155
– Matera: 14434
– Lauria 10.098
– Marsico Nuovo: 10297
– Melfi: 9869
– Venosa: 7062
– Muro: 8209
– San Fele: 9288
La popolazione della regione contava, all’epoca, 509.060 abitanti. (2)
Come si vede, per molti versi i valori numerici delle cittadine lucane sono similari a quelli odierni, mentre in qualche caso addirittura si denota un forte decremento abitativo; essendo trascorsi da allora esattamente centosessant’anni, siamo di fronte ad un vero e proprio paradosso: come spiegarlo? Sarebbe un discorso lungo e complesso da affrontare; per cui ci limitiamo ad osservare che, in pratica, le scelte liberiste introdotte dal nuovo governo torinese, dopo il 1861, di fatto andranno a penalizzare l’economia della Basilicata, frenandone la crescita (che, nella realtà, diventa a tutti gli effetti una ‘decrescita’).
Scoppierà così una rivolta molto più estesa di quella dell’anno precedente -che, non a caso, durerà per una decina di anni- e che verrà etichettata molto semplicisticamente con il nome di brigantaggio, quasi a voler relegare nell’ambito del diritto criminale un fenomeno sociale di forte protesta. Si tratta, infatti, di una vera e propria rivolta politico-sociale, poi sfociata in una sorta di guerra civile: per tentare di stroncarla il governo torinese, invece di utilizzare strumenti economici, preferì inviare migliaia di soldati provenienti dal nord Italia, i cui contingenti occuparono militarmente tutte le province del regno di Napoli per quasi dieci anni, ponendo in essere varie azioni di repressione, peraltro durissime, fatte di fucilazioni indiscriminate.
La nostra regione, tra le più colpite, venne suddivisa in varie zone militari, anche se le forme più violente e cruente del cosiddetto ‘brigantaggio’, durante gli anni Sessanta, si concentrarono maggiormente nell’area del Vulture-Melfese. Al termine di questa fase che, come si è detto, perdurò circa un decennio, mediante le azioni di rastrellamento soldatesco (che ovviamente rallentarono ancora di più il mercato, il commercio, l’artigianato e l’agricoltura), quindi negli anni Settanta, la Basilicata conoscerà purtroppo una grande recessione economica e, perciò, l’ inizio del fenomeno della ‘grande emigrazione’ per le Americhe: una conseguenza provocata dall’impossibilità pratica di trovare lavoro e, dunque, di sopravvivere dignitosamente da parte delle classi più deboli (ossia i contadini, gli operai e gli artigiani).
Una lievissima inversione di tendenza per la regione si potrà vedere solo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, ma senza mai poter parlare di prosperità.
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NOTE:
(1) Un secolo più tardi il fascismo imporrà ancora una volta alla regione il nome di ‘Lucania’ per altri vent’anni, giacchè ritenuto un coronomio latineggiante e, quindi, evocativo dell’impero romano; ma poi si tornerà al nome attuale, dal sapore bizantino, grazie alla carta costituzionale del 1948
(2) La situazione attuale: la Basilicata conta 562.000 abitanti, con un numero di 55 abitanti per chilometro quadrato. I comuni lucani sono oggi centotrentuno. Tra loro, solo ventuno municipi sono stati elevati a rango di città. Si tratta di Potenza, Matera, Melfi, Lavello, Lauria, Avigliano, Lagonegro, Maratea, Bernalda, Ferrandina, Irsina, Muro Lucano, Pisticci, Policoro, Montalbano Jonico, Montescaglioso, Rionero in Vulture, Tricarico, Tursi, Venosa e Marsico Nuovo.
Di essi, poi, appena undici comunità cittadine superano i diecimila abitanti, e cioè: Potenza, Matera, Melfi, Lavello, Lauria, Avigliano, Bernalda, Pisticci, Policoro, Venosa e Rionero in Vulture.
Il raffronto con la situazione sopra descritta è impietoso.