Questa settimana per “Le Grandi Interviste” ho avuto il piacere d’intervistare il Professor Stefano Ferracuti, prima di entrare nel vivo dell’intervista una mini bio. Buona lettura!
Prof. Stefano Ferracuti laureato in medicina, specializzazione in Neurologia, fellowship in psichiatria biologica e farmaco-EEG. Psicoterapeuta. In servizio presso ilSS di Psicologia Clinica dell’Azienda Policlinico Umberto I dal 1990 al 2002, dal 2002 al 2008 presso il DH di Psichiatria della stessa Azienda e dal 2008 ad oggi presso la U.O.C Psichiatria, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea. Professore Associato di Psicologia Clinica, Dirigente Medico I livello. Responsabile per la Regione Lazio per la gestione dei dati relativi al processo di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Principali attività: Valutazioni psicometriche, valutazioni psicologico forensi, psicoterapia. Iscritto Albo psicoterapeuti. Ha scritto diversi libri in ambito psicologico forense e ha standardizzato vari test tra cui (in collaborazione con Zennaro, Lang e Sanavio) il Millon Clincal Multiaxial Inventory. Principali aree di interesse: Psicometria, consenso informato, pericolosità sociale.
Gentile Professore grazie per aver accettato di concederci una sua intervista, lei è una personalità di altissimo livello italiano e internazionale nel campo della psichiatria e della psicologia clinica. Professore ordinario presso la Sapienza di Roma, è consulente per il Tribunale di Roma su casi di grande rilievo penale.
Cosa è per lei la cura della mente di una persona…
La presa in carico di una persona affetta da disagio mentale è un processo complesso a carattere psicologico, medico e spesso anche sociale. Le persone vanno aiutate ad evolvere ed adattarsi ai continui cambiamenti del mondo, dei loro rapporti e di sé stessi quando si trovano davanti a situazioni critiche che non riescono a superare da soli. I processi psicoterapeutici vanno sempre più integrati con le attuali conoscenze psicofarmacologiche tramite procedure misurabili e valutabili da terzi in forma indipendente. Il trattamento dei disturbi mentali deve diventare una procedura evidence-based a tutti gli effetti, come le altre procedure di cura.
Lei ha scritto tra le altre cose un libro sulla simulazione della malattia mentale, ci dica quali sono i segni principali che consentono di smascherare chi intende simulare una malattia mentale per attenuare la pena o per essere ritenuto non imputabile?
In realtà il maggior numero di simulatori o, spesso, per meglio di esageratori o protestatori si ha in ambito di valutazione del danno. Le persone di solito sono molto più motivate a rappresentare condizioni più gravi di quelle effettive, o ad attribuire ad un sinistro una patologia preesistente per ragioni economiche. I veri simulatori in ambito penale sono, per fortuna, abbastanza rari. Quasi sempre sono persone che hanno avuto una certa esperienza con il disagio mentale e hanno “imparato” la rappresentazione della malattia mentale. Spesso sono aiutati da certificazioni compiacenti o emesse con superficialità. Di solito si vedono simulatori per situazioni dove vi è un elevato rischio di una condanna lunga. D’altronde, se ci si riflette, è faticoso e complicato mostrarsi in modo molto diverso da quello che si è per davvero su periodi lunghi e sotto osservazione costante. Spesso, tuttavia, i sintomi rappresentati sono esagerati, grotteschi, impropri e di raro riscontro tra i pazienti psichiatrici gravi “autentici”. La simulazione di malattia mentale è una forma di comportamento regressivo di fronte ad una difficoltà insuperabile per la persona. Purtroppo, pur essendo un problema molto delicato e spesso critico, è ampiamente misconosciuta tra i professionisti della malattia mentale.
Gentile Professore lei è molto impegnato anche sul versante internazionale, in particolare in Africa, nei Paesi più precari sul piano delle istituzioni democratiche e della impalcatura statuale, sanitaria, universitaria, come la Repubblica democratica del Congo. Ci può descrivere i suoi programmi?
Insieme all’Università Cattolica di Kinshasa, con la collaborazione del Prof. Alfred Imonda e del Rettore Santedi Kimpuku abbiamo avviato un progetto per una summer school di giustizia riparativa. Il progetto è a buon punto, avendo organizzato il programma e stabilito i docenti. Purtroppo, l’attuale situazione pandemica rende impossibile il corso in presenza, che già presentava notevoli difficoltà logistiche considerando la vastità del paese. Stiamo vedendo se riusciamo a farlo telematicamente. Con il tempo speriamo di estendere le attività.
Come è cambiata la situazione in Italia in questo settore dopo la Riforma Basaglia?
Questa è una domanda che meriterebbe una risposta decisamente molto estesa. L’Italia si è fatta promotrice di un progetto radicale di deistituzionalizzazione. Il processo di chiusura dei manicomi civili si è concluso nello scorso secolo e abbiamo anche chiuso i manicomi criminali, autentica vestigia ottocentesca, ormai sei anni orsono, senza che avvenisse la catastrofe di sicurezza sociale paventata da diverse fonti. La salute mentale è ormai gestita in modo pressoché completo a livello territoriale, sebbene con una scarsezza di risorse che impegna gli operatori moltissimo. La discrepanza tra un sistema legislativo così ambizioso e le poche risorse disponibili è una contraddizione che può avere conseguenze negative sul periodo medio lungo. Si pensi al problema che si è andato generando con la chiusura dei manicomi criminali. La riforma ha riversato sui Dipartimenti di Salute Mentale un numero elevato di persone che adesso sono affidate ai Dipartimenti di Salute Mentale con la misura di sicurezza della libertà vigilata. In questo modo, di fatto, i servizi territoriali sono inseriti nel sistema di gestione della sicurezza sociale, il che richiede un intervento integrato molto complesso e dispendioso in termini di tempo-uomo. Per giunta la gestione dei pazienti psichiatrici, e in particolare dei pazienti psichiatrici gravi, come sono spesso sono le persone in libertà vigilata, richiede la gestione da parte di una equipe multidisciplinare, con psicologo, assistente sociale, riabilitatore psichiatrico e specialista psichiatra. I Dipartimenti di Salute Mentale mantengono in genere un modello medico-centrico, con una netta preponderanza di specialisti medici, il che rende difficile gestire questo tipo di persone. In linea di massima, comunque, il bilancio della riforma, a oltre 40 anni di distanza non può che essere positivo. Alcune cose vanno certamente adeguate al mutamento dei tempi. Per esempio, la mancanza di misure civilistiche intermedie tra il trattamento sanitario obbligatorio e l’assoluta libertà di rifiutare le cure è problematica, perché esiste un gran numero di soggetti sui quali, per intervenire, bisogna attendere che la situazione clinica raggiunga condizioni di elevata gravità. Parimenti le norme che regolano il Trattamento Sanitario Obbligatorio rispecchiano una realtà di oltre quaranta anni orsono. Nel frattempo abbiamo sviluppato una articolata e complessa dottrina sul consenso informato al trattamento medico, con una legge che la regola, la 219 del 22 dicembre 2017, e vi sono evidenti incongruenze tra la formulazione di requisiti per il TSO e la mancanza della valutazione della capacità di dare consenso al trattamento nelle disposizioni che consentono questo tipo di intervento. Purtroppo l’intero discorso è gravato da ideologismi e posizioni preconcette ed è difficile effettuare un dibattito sereno sul punto.
Il Covid, la Pandemia, è stata una terribile emergenza per tutti, ma come ha influito sulla psiche di ognuno di noi?
La pandemia è un fattore generale di stress. Come tutti i fattori stressanti vi è una certa percentuale di popolazione che diviene sintomatica in modo manifesto, una percentuale più ampia che ne risente ma è capace di adattarsi e una percentuale, minore, che presenta una mobilizzazione di risorse particolarmente adattiva e funzionale, ed è perciò capace di maggior impegno. Non è la prima volta che siamo esposti a questo tipo di problemi nella nostra storia, anche se è la prima volta per quasi tutti noi. Spero che sapremo riconsiderare molti valori alla luce di una maggiore sensibilità ambientale e di rapporti tra popoli. Certo vedere come i paesi più ricchi hanno accaparrato vaccini lascia perplessi.
Infine Professore Ferracuti lei tra l’altro è uno dei Periti del Tribunale di Roma che devono stabilire se l’omicida del vicebrigadiere Cerciello fosse, al momento dell’assassinio, capace di intendere e volere.
La perizia si è conclusa mesi orsono. Gli atti sono pubblici. Purtroppo, come sempre in questi casi è una tragedia per tutti, in primo luogo per la vittima e la famiglia, ma anche per i due giovani americani che rischiano l’ergastolo.
Grazie Illustre Professore.
Grazie a Lei è stato un piacere