Questa domenica per “Le Grandi Interviste” ho avuto il piacere d’intervistare l’Avvocato Ermanno Baldassarre. Stimatissimo avvocato e già presidente dell’ordine degli avvocati di Bergamo e dell’Unione Lombarda Ordini Forensi, attualmente componente del Consiglio Nazionale Forense per il Distretto di Corte d’Appello di Brescia. Prima di entrare nel vivo dell’intervista una mini bio dell’Avvocato Baldassarre. Buona lettura!
Maturità classica. Laurea presso l’Università Statale di Milano. Pubblicista. Avvocato giuslavorista. Presidente del Comitato Praticanti Avvocati di Bergamo dal 1997 al 2000. Già componente del Consiglio Direttivo dell’Associazione Provinciale Forense di Bergamo (2001- 2002) e direttore responsabile del bimestrale edito dalla stessa “Diritto e Rovescio” dal 2001 al 2006. E’ stato componente del Consiglio Direttivo dell’ASTAF (Associazione Nazionale Stampa Forense) dal 2004 al 2007 e, prima, del Collegio dei probiviri. Dopo due mandati da consigliere (2006/2007 – 2008/2009) è stato Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo dal 2010 al 2018 e ha ricoperto la carica di Presidente dell’Unione Lombarda degli Ordini Forensi (ULOF) dal 2015 al 2018, della quale è stato Vice Presidente dal 2012. E’ componente del Consiglio Nazionale Forense (CNF) per il Distretto di Corte d’Appello di Brescia dal 22 febbraio 2019.
Avvocato grazie per aver accettato il nostro invito, noi siamo particolarmente felici di ospitare una sua intervista. Lei è un lucano fiero delle sue origini, che ha guidato l’unione lombarda degli ordini forensi ed è parte dirigente dell’ordine forense nazionale. Ci parli subito delle sue origini lucane e del legame con la sua terra che è anche la nostra terra.
Innanzitutto la ringrazio per questa opportunità perché per me è sempre un piacere ed un onore parlare delle mie origini, delle quali vado davvero fiero. Mio padre, l’ultimo dei fratelli, nonché collega e mio maestro, è nato a San Chirico Nuovo e la nostra è una bella storia di emigrazione che ha visto i Baldassarre farsi onore nella vita, penso alla zia Brigida, la prima dei diciotto, allo zio Nicola, fatto prigioniero a Tobruk, agli zii Domenico (Mimì), Giuseppe (Peppino), che abitavano a Potenza e Antonio (Tonino), quest’ultimo mai trasferitosi dal paese e dove ancora vivono alcuni miei cugini.
Anche tutta la mia formazione è intrisa di lucanità, da Orazio a Rocco Scotellaro, da Mario Pagano a Giustino Fortunato e … mi fermo!
Mi piace anche ricordare che mantengo viva in famiglia, con mia moglie, bergamasca doc e le mie figlie, la nostra tradizione gastronomica, preparando personalmente alcuni piatti tipici paesani come i “cafati”, conditi con il sugo della “custariza”, il “suscillo”, agnello cucinato in occasione delle festività pasquali con uova e pecorino accompagnato dalla “scarcedda”, pane con inserite le uova intere, i “milietiddi” (altrove chiamati “gnoumariddi”), involtini con interiora di maiale, alloro e aglio, la “fucazza a libro”, focaccia con “i zingaretti”, ovvero i ciccioli del maiale e altre prelibatezze, bagnati dal nostro leggendario Aglianico del Vulture.
Lei è intervenuto spesso sulle principali questioni che riguardano la giustizia in Italia. A suo avviso quali sono i nodi prioritari da sciogliere?
E’ difficile rispondere in poche righe. In primis nel nostro Paese si legifera troppo e troppo con decretazione d’urgenza. Prenda ad esempio la materia del lavoro, della quale mi occupo. In dieci anni vi sono stati numerosi interventi normativi che hanno inciso fortemente sia sul processo che sugli istituti in maniera schizofrenica, a macchia di leopardo, senza sistematicità, mi riferisco, in particolare, al Collegato Lavoro, alla legge Fornero, al Jobs Act.
Altro aspetto delicato è l’organizzazione degli uffici giudiziari a seguito della revisione delle circoscrizioni. E’ inutile avere molto personale e magistrati in Tribunali dove la richiesta è bassa e scoperture dove, invece, sarebbero necessari.
Fondamentale resta il dialogo tra avvocatura e magistratura, che rappresentano la pienezza della giurisdizione, soprattutto in un momento, come questo, pieno di difficoltà e contraddizioni nelle istituzioni che le rappresentano.
Infine è da pensare con attenzione il ruolo che l’avvocatura potrebbe avere con la sua giurisdizionalizzazione, termine difficile da pronunciare, ma anche da perseguire e che porterebbe la classe forense con gli strumenti dell’arbitrato e degli altri istituti alternativi atti a dirimere le controversie ad assumere un ruolo essenziale per rispondere alla domanda di giustizia da parte dei cittadini, che esalterebbe ulteriormente la funzione sociale della nostra categoria.
Esiste a suo giudizio un tema che riguarda la garanzia dei cittadini soprattutto nel processo penale? Un avviso di garanzia equivale ad una sentenza?
Questo è un tema delicatissimo, che va fortemente ad impattare sul nostro grado di civiltà. Non è tanto un problema di sistema, quanto di informazione e di cultura giuridica. La fuga di notizie dalle procure e i conseguenti riflessi, soprattutto sulla carta stampata a livello locale, la spettacolarizzazione della giustizia e i processi televisivi deprimono fortemente la dignità del processo perché, va da sé, l’avviso di garanzia è uno strumento a tutela dell’indagato e non un mezzo per metterlo alla gogna.
Cosa pensa dei tempi della giustizia civile? Oggi per chiudere un contenzioso un cittadino aspetta decenni. Cosa si può fare?
In parte ho già risposto, ma ribadisco che la razionalizzazione degli uffici potrebbe avere effetti molto positivi, così come potrebbe diventare una grande sfida l’apporto dell’avvocatura alla giurisdizione, nei termini che ho accennato. Come si dice dalle nostre parti, però, le nozze non si possono fare con i fichi secchi e quindi è necessario che, comunque, vengano fatti investimenti sulla giustizia, che non può pensarsi attraverso riforme a costo zero o, addirittura, con entrate in favore dello Stato, vedi l’odiosa mediaconciliazione, fortunatamente accantonata così come era stata concepita, non potendosi consentire, in uno stato di diritto, in spregio alle norme costituzionali, che la giustizia sia per pochi ed economicamente attrezzati.
Lei ha molto insistito sull’esame di abilitazione conseguito all’estero, affermando senza mezzi termini che in Spagna e in Romania è molto più semplice accedere al titolo di studio, e questo mina gli sforzi della categoria in merito alla professionalità. Ci dica…
E’ una questione di serietà. Purtroppo abbiamo constatato che le strade spagnole prima e rumene poi sono solo strumenti per aggirare l’esame di stato italiano e quindi si crea un’obiettiva disparità tra chi ha sostenuto la prova in Italia e chi invece accede alla professione in tale modo, anche in ordine alla effettiva preparazione.
Che poi il tema dell’accesso sia uno snodo fondamentale per la qualità della professione non può essere revocato in dubbio. L’esame, per come ora è strutturato, pur senza entrare nel merito, deve essere rivisto e, a mio personale parere, dovrà tenere conto di un cammino che partendo dall’università dovrà portare il futuro avvocato a percorrere una strada che preveda sistematici obiettivi da raggiungere, così da fare diventare l’accesso solamente il coronamento di un iter. Insomma, partire a monte per arrivare a valle e non il contrario.
L’ultima domanda, la pandemia oltre alle tragedie che ha provocato, genererà anche un corposo contenzioso civile e penale. Cosa ne pensa?
Che i diritti devono essere sempre tutelati, che chi ha responsabilità venga giudicato sempre nel rispetto delle norme che regolano il nostro ordinamento e che chi è chiamato a giudicare o difendere lo faccia sempre secondo scienza e coscienza.
Grazie ancora avvocato, siamo onorati di averla avuta con noi