Estratto dall’agenzia ANSA di ieri 9 ottobre a cura di Marco Maffettone
“Ho chiuso i suoi occhi, era su un letto con una coperta che lo copriva, l’ho baciato e ho messo la mia testa sul suo petto, come facevamo per addormentarci la sera”. Sono le parole, il ricordo struggente di Rosa Maria Esilio, la moglie del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, dei minuti successivi alla morte del carabiniere colpito con undici coltellate la notte del 26 luglio scorso a Roma. Davanti ai giudici della prima corte d’Assise, nel processo a carico degli americani Finnegan Lee Elder e Gabriele Natale Hjorth accusati di concorso in omicidio, la donna ha raccontato, spesso bloccata dalle lacrime, la sua storia “d’amore con Mario” e le drammatiche ore di quella notte. La vedova ha mostrato ai giudici anche il portafoglio di Cercello, la placca di riconoscimento con ancora le macchie del suo sangue sopra.
“Mi aveva promesso che la domenica successiva mi avrebbe portato al mare ma lo hanno ucciso – ha detto la signora Cerciello -. Quella sera cenammo e mi salutò per andare a fare il turno di notte. Quello fu il nostro ultimo saluto. Nel corso di quella notte ci siamo sentiti telefonicamente due volte”. Nel corso dell’audizione la donna ha raccontato di avere conosciuto il vicebrigadiere nel 2010. “Mi ha corteggiato spudoratamente e mi disse subito che mi voleva sposare – ha detto -. Era l’anno dopo la morte di suo padre e a 26 anni era diventato un punto di riferimento per tutti, si è assunto la responsabilità di tutta la famiglia. Era un uomo d’altri tempi, all’antica. Era un carabiniere coraggioso e preparato, la sua era una vocazione. Abbiamo fatto tanti sacrifici insieme: avevamo scelto già i nomi dei nostri figli”.
La testimone ha ricordato che Cerciello faceva “volontariato ed era sempre pronto ad aiutare gli ultimi, anche i senzatetto. Aveva una umanità senza confini. Mi chiese di sposarlo quando andammo a Lourdes in pellegrinaggio, davanti alla grotta della Madonna. Eravamo sempre connessi, un’unica cosa, eravamo complementari”. Tornando con la memoria a quella tragica serata, la signora Esilio ha ricordato che il marito era uscito di casa mettendo ” come sempre” il portafoglio con la placca e le manette nelle tasche anteriori dei pantaloni. “Aveva sempre un borsello – ha aggiunto – ma il portafoglio e le manette li aveva sempre addosso. Alle quatto di mattina mi chiamò mio cognato Paolo per dirmi che era successo qualcosa e che stavano operando Mario. Chiamai la caserma di piazza Farnese e dalla voce del piantone ho capito che era successo qualcosa di grave. Ho preso un taxi e sono andata al pronto soccorso del Santo Spirito, con me avevo solo un rosario. Dopo un po’ un infermiere mi si avvicinò per darmi una bustina con dentro la fede di mio marito, una catenina e un bracciale. Ero in attesa e notai su un muretto il portafoglio e le manette ma mi dissero che non le potevo prendere”.
La vedova del vicebrigadiere ha poi aggiunto: “andai dai medici che mi dissero che Mario era morto e che avevano fatto di tutto per salvarlo”, ha concluso. Una ricostruzione toccante al punto che Elder, scosso e commosso, ha chiesto e ottenuto di potere lasciare l’aula per fare ritorno in carcere. “Rosa Maria Esilio nel corso della sua toccante testimonianza – ha commentato il suo legale, l’avvocato Massimo Ferrandino – in aula ha chiarito, così come detto dal vicebrigadiere Verde, un particolare fondamentale per questo processo: Cerciello quella sera aveva con sé sia le manette che il distintivo”. Nel corso dell’udienza è stato ascoltato anche il medico Giovanni PITTELLA, consulente per le parti civile che ha confermato che “gli 11 colpi che hanno raggiunto Cerciello sono stati profondi e precisi. Una azione messa in atto con dimestichezza e abilità, durata poco più di 30 secondi”